INCONTRO CON IL CLERO DI FERRARA SUL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA, 18 FEBBRAIO 2016

CattedraleFerrara

 Eccellenza Reverendissima,

Carissimi Confratelli e Seminaristi,

sono particolarmente lieto di condividere con voi questo momento di riflessione sul Giubileo della Misericordia, che si presenta a noi come un’ennesima occasione di grazia, per continuare nella nostra missione di sempre: annunciare il Vangelo e santificare il Popolo di Dio a noi affidato, con gli strumenti, che Cristo stesso ha istituito e consegnato alla Chiesa.

Svilupperò questa riflessione in tre momenti: nel primo, guarderemo al Giubileo come manifestazione della coscienza ecclesiale del fatto che la salvezza è entrata nella storia; nella seconda, ci soffermeremo sulle esigenze della conversione come risposta alla chiamata di Dio e, infine, guarderemo al nostro compito di ministri della salvezza nell’attuale contesto culturale e sociale.

 

1. Giubileo: La salvezza entra nel tempo come storia

Non è certamente questa la sede per ripercorrere la storia dell’istituzione del Giubileo, che, come tutti sappiamo, ha radici veterotestamentarie e viene ripreso dalla Tradizione della Chiesa, grazie al Pontefice Bonifacio VIII, che lo indice, per la prima volta, con la Bolla “Antiquoroum habet fida relatio” del 22 febbraio 1300.

E' tuttavia di grande interesse fissare lo sguardo sulle ragioni teologiche del Giubileo e sul suo significato in ordine alla Divina Rivelazione e, per conseguenza, all’identità stessa di Dio.

Il Giubileo veterotestamentario era certamente anche un grande fatto di normalizzazione sociale, nel quale, ogni cinquant’anni, gli schiavi riacquistavano libertà, i terreni ridiventavano di proprietà di chi li aveva perduti e la società stessa subiva un riassetto, che non si fondava sugli equilibri di potere ed economici dei singoli, ma su un gratuito evento esterno, che coinvolgeva tutti, che non dipendeva da alcuno e che aveva, come fondamento, il comune riconoscimento della sovranità di Dio sul cosmo e sulle persone.

In un tempo, nel quale nemmeno era immaginabile che Dio potesse a tal punto coinvolgersi con la storia degli uomini da farsi Egli stesso uomo, il Popolo di Israele intuisce, anzi, ha la certezza, del legame imprescindibile di Dio con la storia. Dio è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che ha un legame imprescindibile con le vicende del popolo eletto, e che, proprio in esse, si manifesta con il Suo Volto di Misericordia. Nell’istituzione veterotestamentaria del Giubileo, il popolo eletto manifesta la propria consapevolezza del legame di Dio con la storia e della possibilità che tale legame si manifesti come possibilità di rinnovamento per l’uomo, come possibilità di Misericordia.

Queste due semplici coordinate teologiche ci permettono di guardare con sempre rinnovato stupore alla grazia immeritabile del Mistero dell’Incarnazione. In Gesù Cristo, infatti, la Misericordia sperata ed attesa si è fatta carne, si è manifestata in un uomo concreto, ha assunto le fattezze del Figlio di Maria, contemplando il Volto del Quale, ciascuno può vedere il Volto di Dio. “Misericordiae Vultus” sono le prime parole della Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia di Papa Francesco.

Il Cristianesimo, in stretta relazione con la tradizione ebraica, ma portandone a compimento le attese, fuggendo da ogni tentazione gnosticheggiante, afferma sempre, con rinnovato vigore, il Mistero dell’Incarnazione del Verbo, la scelta definitiva che Dio fa a favore dell’uomo, proprio facendosi uomo, riconciliando, in tal modo, l’uomo con Dio ed aprendo una prospettiva nuova e definitiva alla storia.

Il Giubileo veterotestamentario era giusta speranza di salvezza e di misericordia che si concretizzava in atti socialmente rilevanti, in gesti umani, attraverso i quali i fedeli potevano intuire, in certo modo, la valenza ed il significato della Divina Misericordia.

La differenza sostanziale, tuttavia, in ordine alla Misericordia, con il Cristianesimo, è che, in Gesù Cristo, la Misericordia è “scesa sulla terra”. Come Egli stesso afferma, di fronte a scribi e farisei, che lo accusano di bestemmiare: «Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (Mc 2,10-11).

La Misericordia è diventata carne, ha subìto un radicale mutamento; la Misericordia sperata è diventata Misericordia reale, sperimentata, incontrata ed accolta. Prescindendo dal Mistero dell’Incarnazione del Verbo e dalla conseguente piena manifestazione della Divina Misericordia nel Figlio di Dio fatto uomo, è incomprensibile sia l’agire salvifico della Chiesa nel tempo, sia l’indizione di un Giubileo. Il Giubileo cristiano, in via ordinaria, viene indetto ogni venticinque anni, quindi ad ogni passaggio di secolo e ad ogni quarto di secolo, e, in via straordinaria, come nel caso del Giubileo della Misericordia, viene indetto dalla Suprema Autorità della Chiesa, che in tal modo attinge allo sterminato tesoro della Grazia divina. Questa cadenza temporale non è casuale, poiché significa e manifesta l’ingresso della salvezza nel tempo e l’imprescindibile suo legame con la storia.

Se, nell’Antica Alleanza, la storia era percepita come luogo del rapporto e dell’intervento divino, nella Nuova e definitiva Alleanza, essa è il luogo della piena manifestazione di Dio in Gesù Cristo, è il luogo reale della Misericordia, perché in Cristo la Misericordia è scesa sulla terra. Di questa coscienza, come Chiesa e come sacerdoti, siamo chiamati ad essere portatori: il Giubileo ridice al mondo che Dio si è fatto uomo, è morto ed è risorto, che in nessun altro Nome c’è salvezza se non in Gesù Cristo, che ogni vita può essere ricapitolata in Cristo se solo a Lui ci si rivolge con fede ed umiltà.

La Chiesa è esattamente questo: la Presenza di Cristo nel mondo, che ne prosegue l’azione con l’annuncio della Parola e la Celebrazione dei Sacramenti e, proprio per questo, non può e non deve rinunciare alla sua presenza storica, culturale e sociale.

 

2. Conversione: risposta umana alla chiamata divina

I citati aspetti sociali ed economici del Giubileo veterotestamentario, solo apparentemente, possono essere valutati come elementi estrinseci alla persona, poiché essi presupponevano e stimolavano un assenso interiore alla Volontà divina, una obbedienza della fede, che è profezia di quella chiamata a conversione, che ha in Gesù Cristo il suo compimento.

Potremmo dire che gli aspetti sociali del Giubileo antico altro non erano se non segni esterni di un cambiamento interiore, impossibili a realizzarsi senza che avvenisse un’autentica conversione dei cuori.

Il primo annuncio del Verbo fatto carne, di Gesù di Nazareth all’inizio del Suo Ministero, è esattamente questo: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). In questa mirabile sintesi possiamo incontrare tutti gli aspetti teologicamente rilevanti del Giubileo: «Il tempo è compiuto» è infatti l’affermazione della storicità della salvezza, che giunge a noi nella pienezza dei tempi; «Il Regno di Dio è vicino» indica la Presenza di Dio in mezzo a noi, poiché - non dimentichiamolo mai - come più volte ribadito dal Santo Padre emerito Benedetto XVI nell’introduzione all’Opera “Gesù di Nazareth”, il Regno di Dio è anzitutto una Persona, la Persona stessa di Cristo; «Convertitevi e credete al Vangelo», infine, indica il duplice, coessenziale movimento della ragione e del cuore, che si aprono al dono che Dio fa di Sé auto-rivelandosi («convertitevi») ed accolgono la verità che Dio rivela («credete al Vangelo»).

Salvezza storica, salvezza personale, fede fiduciale e contenuto della fede vengono ad essere, così, nella semplice espressione di Gesù - «Convertitevi e credete al Vangelo» - mirabilmente significate e sintetizzate, rappresentando, in tal modo, l’invito rivolto da Dio agli uomini: l’invito alla conversione.

Noi ben sappiamo che, in nessun caso, c’è antitesi tra la fede fiducia e la fede come conoscenza, tra la fede “con cui” credo e la fede “che” credo (direbbe San Tommaso, tra la fides qua e la fides quae). Al contrario, gli uomini sono chiamati a convertirsi e a credere al Vangelo della Misericordia, alla Buona Notizia che Dio è misericordia e, per questa ragione, ha mandato il Suo Unico Figlio, che è morto ed è risorto per noi. Ogni contrapposizione tra verità e misericordia è falsa e gravemente fuorviante, poiché rivela un concetto astratto di verità, come se la verità fosse un’idea e non una persona.

Esistono, è vero, verità puramente speculative, nelle quali la ragione si sente rassicurata e protetta dalla realtà e dalla storia. Esistono però verità esistenziali, etiche e religiose, che riguardano il bene della persona. Queste hanno, sì, un contenuto formale, ma esso è, in realtà, solo il loro punto di partenza, poiché chiedono, anzi esigono, di essere realizzate nel loro contenuto dall’atto libero della persona. Sono verità così essenziali per l’uomo, da provocarne la libertà e da mostrare che, solo in esse, la persona può realizzarsi pienamente.

Facendo un esempio che attingo dalla fenomenologia, potremmo affermare che tali “verità pratiche”, esistenziali, sono come uno spartito musicale; esso può certamente essere letto, compreso e perfino solfeggiato; ma, solo nell’esecuzione di quei segni allo strumento musicale, se ne manifesterà l’autentica realtà, il profondo significato e la bellezza. Si potrà discutere finché si vorrà, in teoria, su uno spartito di Mozart, ma, solo quando il grande maestro si metteva al pianoforte, se ne comprendeva appieno la verità.

In questo rapporto tra verità e persona, in questa che potremmo chiamare “coesione essenziale” tra persona e verità pratica, c’è la possibilità di reale superamento di ogni falsa contrapposizione tra verità e misericordia. Mi pare questo un punto fondamentale per comprendere che cosa sia autenticamente la conversione: essa è innanzitutto metànoia, cambiamento del nous, conversione della mente, cambiamento del giudizio e, perciò, solo quando il giudizio è nuovo, solo quando abbiamo “il pensiero di Cristo” (cfr. 1Cor 2,16), allora è possibile il miracolo della conversione morale.

Come lo spartito non può manifestare tutta la sua bellezza ed armonia finché non viene eseguito con strumenti e voci, così la verità pratica non manifesta tutta la sua forza, finché la libertà dell’uomo non si applica a viverla.

Di fronte a tale provocazione, emerge, con dirompente forza, la fragilità dell’uomo ed il suo bisogno di compagnia. Per questa ragione, nel Suo invito a conversione, il Signore Gesù ribadisce: «Il Regno di Dio è vicino». L’uomo non è solo in questa tensione morale, che lo spinge a tradurre le verità pratiche in verità esistenziali, o, meglio, la verità in vita. Con l’uomo c’è Gesù Cristo, Vivo e Risorto, c’è il Suo Corpo che è la Chiesa, c’è tutto il flusso di grazia di duemila anni di ininterrotta Tradizione ecclesiale e c’è la schiacciante maggioranza della Chiesa, che è fatta dai santi. è questa la compagnia assicurata agli uomini di ogni tempo, chiamati a conversione! La consapevolezza che il Regno di Dio è vicino, che il Signore è vicino, non ha appena un valore consolatorio, rispetto all’estenuante fatica della vita, ma è la condizione di possibilità, sia della conversione stessa, sia della traduzione nella propria vita della Verità che è Cristo. Non è un caso, fratelli carissimi, se il nostro Signore si auto-definisce, in uno dei vertici dell’espressione evangelica, Via, Verità e Vita (cfr. Gv 14,6).

Via, cioè metodo, cammino da percorrere, strada che Dio ha percorso verso l’uomo e che l’uomo è sempre chiamato a percorrere verso Dio; Verità, a cui aderire con tutto se stessi, da accogliere esistenzialmente e da proporre con fervore apostolico e missionario (e la Verità è sempre una Persona); e Vita, innanzitutto in maniera fontale, poiché Egli è la Fonte della Vita, e, conseguentemente, come luogo concreto nel quale - perdonatami il gioco di parole - “inverare la Verità”, cioè tradurla in esistenza visibile, toccabile e udibile dagli uomini, tradurla in testimonianza, cioè in martirio.

Un tale superamento della falsa contrapposizione tra verità e misericordia, ci fa scorgere tutta la luce della verità, che è misericordia, e tutto l’abbraccio della misericordia, che se non fosse intimamente unita alla verità, si tradurrebbe in somma ingiustizia. Per tale ragione, la misericordia ha immenso bisogno di conversione ed essa rimane inefficace laddove incontra una libertà chiusa al cambiamento ed incapace di accogliere la novità, che Cristo propone. Come ha più volte affermato Papa Francesco, anche nella Bolla di indizione del Giubileo, «Nessuno può mettere un limite alla Misericordia divina» (Bolla di Indizione, Misericordiae Vultus, n. 3), poiché creatura e Creatore sono ontologicamente incommensurabili. La creatura, tuttavia, poiché autenticamente libera, ha il terribile potere di rifiutare la misericordia, di rifiutare la verità su se stessa e su Dio, di rifiutare la conversione, di rifiutare la grazia.

Nessuno è più lontano, è più nelle periferie di chi si trova nella drammatica condizione di rifiutare pertinacemente l’offerta salvifica di Cristo. Oserei dire che non c’è più periferia del peccato, perché, mentre le periferie sociali, culturali ed esistenziali, possono e debbono essere guarite dall’intervento degli uomini, della Chiesa e della società civile, le periferie del peccato sono affidate unicamente alla libertà del singolo, che è chiamata a decidersi personalmente per Cristo e per il Vangelo, e nessuno può sostituirsi alla sua decisione.

Anche la dottrina, che ben conosciamo, dell’indulgenza riecheggia questo personalismo cristiano: l’indulgenza è applicabile a se stessi, o, in forza della comunione dei santi, ad un fratello defunto, che non ha più il dono della libertà. Ma non è applicabile ad un fratello vivente, che possiede ancora il dono della libertà e, con esso, la possibilità di conversione, la possibilità di emergere dalla lontananza, dalla periferia del peccato, per lasciarsi abbracciare dalla Verità della Divina Misericordia.

La conversione, infine, è sempre una risposta, è la risposta umana alla Chiamata divina; è una risposta nella quale operano congiuntamente la Grazia soprannaturale  e la libertà umana. Non c’è conversione senza il tocco della Grazia, che giunge agli uomini, attraverso le vie ordinarie dell’annuncio della Parola e della Celebrazione dei Sacramenti e attraverso tutte le vie straordinarie, che Dio conosce e per le quali lo Spirito tocca i cuori. E non c’è conversione senza il sussulto della libertà, senza l’adesione consapevole e semplice, umanissima e stabile, alla verità che è Cristo. Non è l’uomo l’autore della grazia, non è lui ad aver composto il mirabile spartito - per tornare all’esempio di prima - ma a lui, all’uomo, è chiesto di mettersi al pianoforte e suonare, all’uomo è chiesto di accogliere il dono divino e tradurre la verità rivelata in verità esistenziale, scoprendo come solo la traduzione esistenziale permetta alla verità di risplendere in tutta la sua luce, poiché Gesù Cristo è Verità e Vita.

 

3. Ministri della Salvezza nella fluida Modernità

Di fronte a tale proposta, carissimi confratelli, siamo tutti perfettamente consapevoli di un certo analfabetismo dei nostri contemporanei e della società in generale. La cultura moderna e post-moderna, definita da molti “fluida”, cioè senza riferimenti certi ed escludente ogni verità oggettiva e universale, anzi la possibilità stessa che esista e sia conoscibile una verità oggettiva e universale, appare tremendamente lontana dall’idea stessa di verità e di conversione.

Tuttavia, abbiamo di fronte a noi due straordinarie possibilità, che, a ben guardare, tendono a coincidere. Da un lato, il cuore umano, che è sempre bisognoso di salvezza e di significato. Qualunque sia, infatti, la condizione in cui l’uomo si trova, qualunque sia la remota periferia, nella quale le sue azioni l’hanno condotto, o le circostanze esistenziali lo hanno relegato, l’uomo, il cuore dell’uomo ha sempre bisogno di giustizia, bellezza, verità, libertà. In una parola, ha bisogno di felicità, cioè di amare e di essere totalmente amato: ha bisogno di salvezza. Questo insopprimibile bisogno rappresenta sempre una grande possibilità per l’annuncio cristiano, forse troppo spesso ci siamo soffermati a dare risposte, talora preconfezionate, senza spendere tempo nell’ascoltare le domande. Questo, oggi, è del tutto inconcepibile! Chi solo ha a che fare un po’ con il mondo giovanile, ma anche, ormai, con quello adulto, si accorge immediatamente dell’impossibilità di comunicare, o dell’inefficacia della comunicazione, qualora essa non prenda in considerazione le autentiche domande delle persone.

Ciò non significa, evidentemente, fermarsi alle domande, quasi che non ci siano risposte o che tali risposte non siano accessibili esistenzialmente, ma al contrario significa creare, nell’ascolto autentico della domanda, quello spazio umano di misericordia indispensabile all’incontro con il Salvatore, all’incontro con Colui, che si è fatto “domanda”, perché noi potessimo incontrare la risposta.

Dall’altra, è l’emergente insofferenza degli uomini di fronte al nulla, di fronte ad una cultura priva di riferimenti e priva di risposte, priva di orizzonti e di prospettive. Tale insofferenza deve essere da noi intercettata e, prima ancora, condivisa; deve tradursi in ansia pastorale di uomini, che, partecipando delle medesime domande di ogni uomo e della medesima insofferenza nei confronti di una cultura talmente fluida da non dare più alcuna risposta, sono consapevoli di essere stati costituiti da Cristo ministri, cioè servi, della Verità e della Misericordia.

In tal senso è necessario, come pastori, avere il coraggio di prendere davvero sul serio tutte le fatiche dei nostri fratelli uomini, tutte le fatiche dell’uomo contemporaneo, riconoscendo che ciò che maggiormente frena il compimento della persona, ciò che maggiormente frena quello che il mondo chiamerebbe “auto-realizzazione”, è proprio il peccato.

Non c’è nulla di più triste, infatti, dell’auto-realizzazione! Essa è, in definitiva, una radicale assenza di relazione, nella quale il soggetto pretende di realizzare se stesso, prescindendo dagli altri, talora perfino dalla realtà. è, ancora e sempre, la condizione dell’uomo narrata nel terzo capitolo della Genesi: “Mangiate dell’albero del giardino e sarete come Dio” (cfr. Gen 3,5). Il Giubileo della Misericordia deve allora essere una grande occasione per chiamare tutti a conversione, mostrando il centuplo che la vita in Cristo porta con sé, mostrando la grandezza e la bellezza di una realizzazione, che non è solitario sforzo di auto-compimento, ma libero e tenero abbraccio con il Padre e con i fratelli, abbandono libero e consapevole in Colui che solo può compierci!

La radice del male sociale, dell’egoismo, dell’indifferentismo verso i poveri e gli emarginati, la radice dei grandi mali anche recentemente imposti all’attenzione mondiale, come il terrorismo fondamentalista, è sempre solo la stessa: il peccato. Il peccato dell’uomo che vuole fare a meno di Dio, il peccato dell’uomo che si crede Dio e il peccato dell’uomo che strumentalizza Dio.

Un grande servizio pastorale che possiamo offrire ai nostri fratelli è certamente l’annuncio e la testimonianza della novità di vita, che scaturisce dalla Riconciliazione; l’annuncio e la testimonianza della novità di vita, che il Dio Cristiano indica al mondo proprio come Dio fatto uomo, crocifisso e risorto. Nessun’altra tradizione religiosa pretende che Dio si sia fatto uomo e, men che meno, che sia morto in modo infame, per noi e per la nostra salvezza.

La più grande opera sociale che oggi la Chiesa può compiere coincide, misteriosamente ma realmente, nell’educazione delle coscienze, nell’invito alla conversione e nella celebrazione della Misericordia, poiché una cultura nuova è generata solo da persone nuove, nuove perché rinnovate, nuove perché riconciliate, nuove perché rese nuove da un Altro!

Questo è anche il significato perenne della novità nella Chiesa: essa non è uno strappo col passato, o una cancellazione della sua memoria storica, ma il continuo riaccadere, per opera della grazia, del miracolo del cambiamento, che è sempre possibile, finché l’uomo vive, che è sempre possibile anche nella circostanza apparentemente più disperata ed oscura.

Come ministri di Cristo, siamo chiamati ad essere, sempre, ma in particolare durante il Giubileo, ministri della verità, non canne sbattute dal vento e vittime di ogni moda culturale, che passa come passano le cose solo umane, troppo umane. Siamo chiamati ad essere incardinati in quella verità personale, che è Cristo e ad esserne servi, annunciandola e vivendola. In tal modo, saremo anche sempre servi della misericordia, poiché chi vive Cristo non può che vivere di misericordia ed offrendo misericordia.

Il Giubileo della Misericordia è anche per noi sacerdoti, perché ci lasciamo rinnovare profondamente nelle nostre persone, nel nostro ministero e nella nostra pastorale. C’è certamente un’urgenza di profondo rinnovamento anche nella Gerarchia della Chiesa, al di là delle parziali enfatizzazioni, che i mezzi di comunicazione sempre attuano, al di là degli interessi umani, troppo umani, che a volte sembrano prevalere, è fuori dubbio che tutta la Chiesa, Gerarchia inclusa, ha sempre bisogno di conversione. Viviamo in un tempo di santi Pontefici, pensiamo almeno agli ultimi 2 secoli, e dunque siamo chiamati a tradurre questa possibilità in reale cambiamento.

La Misericordia è anche per i Papi, per i Cardinali, per i Vescovi, per i Preti e per i Diaconi! Essi non sono esclusi dalla Misericordia divina, ma - come tutti - sono chiamati ad abbracciarla, anzi a lasciarsi da essa abbracciare e, perciò, a testimoniarla e ad annunciarla. I sacerdoti, poi, sono resi da Cristo anche ministri della Misericordia e, in tal senso, sono chiamati a celebrarla con particolare generosità, per tutti i fratelli, che ad essa ricorrono sinceramente pentiti e desiderosi di cambiare vita.

Cardine di un’autentica conversione pastorale è, in tal senso, la sollecitudine per tutti i peccatori, il profondo dolore per i nostri fratelli uomini, che vivono lontani da Dio ed il desiderio, che essi Lo possano incontrare come noi Lo abbiamo incontrato. Chiamare gli uomini a conversione non significa, tanto, soffermarsi in sterili accuse, o elencazioni di ciò che non va, quanto piuttosto incontrarli nella loro concreta situazione esistenziale, mostrando, con la propria vita, che un’altra vita è possibile, che un altro modo di vivere e di pensare è possibile, che un’altra strada è percorribile, la strada di Cristo e del Vangelo.

L’urgenza della conversione pastorale, allora, come spesso ci ricorda Papa Francesco, è l’urgenza di incontrare l’uomo laddove egli vive, consapevoli di portare un Tesoro in vasi di creta e di obbedire alla missione affidataci da Cristo, piuttosto che alle nostre ideologiche precompressioni: «Andate in tutto il mondo ed annunciate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15).

Non c’è nulla di più autenticamente umanizzante della riconciliazione con Dio! Non c’è nulla che possa cambiare, dal di dentro, la società come la conversione dei suoi membri! Non c’è nulla che superi più efficacemente la tensione tra centro e periferia, che non il cambiamento del cuore di tutti, sia del centro, sia della periferia.

Il Giubileo della Misericordia, allora, è senz’altro un’occasione di autentica missione, anzi, è la missione della Chiesa, che è missione di Misericordia; è annuncio, cioè, che all’uomo è concesso “sulla terra” il perdono dei peccati e tale annuncio cambia radicalmente l’orizzonte esistenziale degli uomini.

E' necessario essere autenticamente missionari, non solo volendo bene agli uomini, ma anche volendo “il” bene degli uomini, e non c’è bene più grande, per ciascuno, dell’incontro personale e comunitario con Cristo. La distanza da Lui, la non conoscenza del Signore è la più remota periferia del cuore dell’uomo! Un cuore che non conosca Cristo è un cuore privo di speranza, privo di prospettiva; è un cuore, che non conosce la misericordia. Una Chiesa in uscita, come ci ha ricordato il recente Convegno di Firenze, è una Chiesa che annuncia la possibilità grande data all’uomo in Gesù Cristo; è una Chiesa capace di toccare le piaghe degli uomini, perché in esse riconosce le piaghe del suo Signore, queste ultime come fonte di salvezza e le prime come luogo della salvezza.

La Chiesa in uscita è simile alla madre, che cerca attentamente i suoi figli. Li cerca, con il profondo desiderio che ritornino a casa, con il profondo desiderio che possano nuovamente sedersi alla mensa della comunione familiare, riacquistando il posto e la dignità dei figli.

Tale maternità della Chiesa, sfolgora nella grandezza della Beata Vergine Maria, sotto il cui manto, da sempre, il popolo ha trovato rifugio; Maria, Madre di Misericordia, perché Madre di Gesù Cristo, che è Misericordia; Maria come Madre del Bell’Amore, perché Madre di Gesù Cristo, dal cui Cuore squarciato sgorga l’Acqua del Battesimo ed il Sangue dell’Eucaristia; Maria come Madre, che ansiosamente cerca i Suoi figli e continuamente intercede per loro, perché possano incontrare la Divina Misericordia e mai perdersi nelle periferie del mondo e del peccato. La Beata Vergine Maria, in tal senso diviene icona perfetta, in quanto Immacolata, della Misericordia del Padre. Lei, che è stata preservata da ogni macchia di peccato, in vista del grande compito di essere la Madre del Salvatore, diviene, con la Chiesa e nella Chiesa, autentico volano di ogni cambiamento, autentica strada di conversione, e il popolo santo di Dio sempre ce lo rammenta, con la sua semplice e autentica devozione.

Nella Beata Vergine Maria rifulge la salvezza come storia, poiché Ella è la creatura nella quale pienamente si è già realizzato il disegno di salvezza del Padre; nella Beata Vergine Maria, la risposta umana alla chiamata divina è perfetta, poiché libera da ogni macchia di peccato, da ogni freno nel rispondere alla Volontà di Dio; infine, la Beata Vergine Maria è, in modo speciale Madre della Misericordia e Madre dei ministri della Misericordia, cioè della salvezza, anche in tutte le drammatiche circostanze della società contemporanea, anzi, proprio in esse Maria è Stella maris e Refugium peccatorum.

Stemma Card. Piacenza_small

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