OMELIA DEL CARD. MAURO PIACENZA IN OCCASIONE DELLA FESTA DEL BEATO NICOLA DA GESTURI - CAGLIARI, 8 GIUGNO 2016

«O Dio, che, nel Beato Nicola, ci ha dato un esempio da imitare, nella preghiera, nell’umiltà e nel silenzio…».

Con queste parole, carissimi fratelli, la Liturgia della Chiesa, nell’orazione, ci ha fatto guardare al Beato Nicola da Gèsturi, che si colloca nella luminosa scia dei cappuccini questuanti come il suo amato confratello S.Ignazio da Làconi. Questa sera ci rivolgiamo in particolare al Beato Nicola con commosso trasporto, affidandogli, in questa Santa Messa, tutte le nostre intenzioni, certi che egli saprà, meglio e più di noi, presentarle al trono dell’Altissimo.

Il Beato Nicola, guardato con gli occhi freddi e calcolatori di questo mondo, capaci solo di misurare e mai di stupirsi, non è certo catalogabile tra i “grandi della terra”. Anzi, dalle stesse testimonianze di chi lo ha incontrato, conosciuto ed amato, appare unanime il giudizio circa l’estrema semplicità della sua struttura umana e culturale. Egli era un semplice frate cappuccino con l’incarico di questuare “a santu Franciscu”, per S.Francesco ; eppure, proprio questa semplicità lo fece grande, capace di ascoltare Dio e di portarLo, nel silenzio, ai fratelli; lo fece maestro di quella fede che egli stesso ha vissuto per primo e, perciò, ha saputo comunicare agli altri.

Preghiera, umiltà e silenzio sono i tre segreti del Beato Nicola. Che cosa essi dicono, oggi, alla nostra vita? Come possiamo imitare il Beato Frate, che tanto amiamo e che, cosi potentemente, ci chiama a conversione, mostrandoci la bellezza, la semplicità, la bontà e la carità di Dio?

Il primo “segreto” del Beato Cappuccino era la preghiera. Che posto ha essa nella nostra vita? Che cosa significa davvero pregare?

Se le formule, le “preghiere” ci aiutano a pregare, tutti ben sappiamo come la preghiera non debba, nè possa essere ridotta a ripetitive formule, se con esse non si immedesimano la nostra mente e il nostro cuore. La preghiera è, piuttosto, l’entrare nel respiro di Dio, accorgersi della Sua Presenza e concepirsi come dinanzi al mistero. La preghiera è l’atteggiamento del figlio, che sa di essere amato da un Padre buono e si pone dinanzi a Lui come un povero mendicante, che tutto, umilmente, domanda dalla mano provvidente del Padre.

La preghiera è possibile solo all’uomo, anzi, è un atto specifico dell’uomo, perché solo l’uomo, nel creato, è capace di pensare a Dio; solo l’uomo è capace di stare davanti al mistero, domandando, lodando e intercedendo per i fratelli. Per questo la preghiera è l’atto più grande che un uomo possa compiere; non c’è nulla di più alto, di più nobile, di più umanizzante della preghiera. L’uomo può pregare e, perciò, deve pregare! L’uomo è chiamato a vivere questa dimensione di rapporto con il suo Creatore e Padre celeste.

Il Beato Nicola da Gèsturi non solo viveva abitualmente e con naturalezza questa capacità di rapporto con Dio, ma vi era totalmente immerso, divenendo preghiera il suo stesso respiro e suscitando, intorno a lui, con la sua sola presenza, uno spirito di preghiera, un ambiente di preghiera.

Memorabili, a tale riguardo, le simpatiche scene, nelle quali, quando egli saliva su un mezzo pubblico di trasporto, tutti i passeggeri facevano a gara per pagargli il biglietto e, non appena sgranava la sua corona del santo Rosario o tirava fuori dalla tasca un consunto libretto di preghiere, ciascuno richiamava al silenzio il vicino, dicendo: «Zitti, zitti, Fra Nicola sta pregando».

Carissimi Fratelli, come insegna l’immutata ed immutabile dottrina della Chiesa, chi prega si salva! Perché chi prega tiene il cuore permanentemente aperto a Dio e alla Grazia; chi prega non ha paura, nè degli eventi, nè dei propri limiti! Chi prega non ha paura nemmeno dei propri peccati, perché sa che, in ogni momento, può mendicare da Dio il dono della conversione e, con essa, del perdono, che il Buon Dio non manca certo di concedere.

Il Beato Nicola ci lascia questo grande richiamo alla preghiera, come elemento indispensabile della vita, come capacità data all’uomo di entrare in rapporto con il mistero. Per questa ragione gli siamo così affezionati, perché la sua preghiera ricordava e ricorda a tutti che Dio c’è, che Dio è Padre, che Dio provvede ai Suoi figli e, vederlo pregare, aiutava tutti a pregare, o almeno ricordava la necessità della preghiera.

La seconda nota, che ci spinge oggi a lodare il Signore per il nostro Beato, è l’umiltà. Essa è, allo stesso tempo, madre e figlia della preghiera. L’umiltà è madre della preghiera perché solo riconoscendo l’Onnipotenza del Creatore, umilmente e docilmente, l’uomo apre il cuore alla preghiera. L’umiltà, dal latino humus, che vuol dire “terra”, ricorda agli uomini di essere terra, di essere poca cosa davanti alla potenza del creato e all’Onnipotenza di Dio. L’umiltà, a ben vedere, non è una virtù esclusivamente soprannaturale. È certamente questo ma è anche frutto del realismo. Se guardiamo alla realtà, se guardiamo a ciò che siamo, non possiamo non essere umili. La superbia, al contrario, è frutto della menzogna! L’orgoglio è frutto di un cuore inquinato dal maligno; di un cuore, che pretende di essere come Dio, accecato dalla falsità e dall’illusione. Un cuore così, un cuore senza umiltà diventa, allora, incapace di pregare, poiché solo nell’umiltà, nel riconoscimento di Dio, nasce la preghiera.

Nel contempo, l’umiltà è figlia della preghiera. Infatti, se, da un lato, essa nasce in quel giudizio realistico su noi stessi, che ci fa essere consapevoli dei nostri limiti, dall’altro, l’umiltà si consolida e diviene vero e proprio habitus, abitudine nel senso positivo, ovvero ripetizione di atti buoni, vera e propria virtù della vita spirituale. È nella preghiera che noi maturiamo quel rapporto con Dio, che ci permette di sentirci amati e, dunque, ci aiuta a non difenderci da Dio e dai fratelli. È nella preghiera che noi contempliamo l’amore crocifisso di Dio e dunque impariamo ad amare non a parole ma con i fatti. È nella preghiera che contempliamo l’umiltà del Verbo Incarnato così come Lo vediamo nella grotta di Betlemme e inchiodato alla Croce ed impariamo, ad imitazione di Lui, che cosa significhi davvero essere umili.

L’umiltà del Beato Nicola da Gesturi coincideva con la sua stessa persona ed il suo semplice e fedele ministero. Era un frate questuante, che girava Cagliari e i paesi vicini, con il suo saio consunto, i sandali ricuciti più volte e la sacca in cui raccoglieva quanto gli veniva donato. Con il suo sguardo dolce e mite, espressione della sua anima candida, commuoveva i cuori più duri ed era, nel contempo, capace di richiamare, con vigore, coloro che, pur potendo, non condividevano i loro beni. Il suo viso mite ed il suo atteggiamento umilissimo erano il “grazie” più sincero, che riceveva chiunque si avvicinasse a lui, sapendo che, in certo modo, egli ripresentava a chi lo guardava la stessa figura di Francesco, il Poverello di Assisi e, con esso, la figura di Cristo.

Anche nell’accoglienza della sofferenza fisica, egli fu sempre umile e silenzioso. In un eroismo quotidiano e soprannaturale, si svolse sempre il suo ministero, nel più stretto riserbo e sotto gli occhi di Dio. Soprattutto durante la seconda Guerra Mondiale, quando questa nobile città di Cagliari fu, più volte, selvaggiamente bombardata e tutti fuggirono per salvare la vita, comprese molte autorità, il Beato Nicola da Gesturi volle rimanere ostinatamente quì, accogliendo, nel convento, molti sventurati, che  avevano perduto tutto e portando, con la sua umiltà operosa, conforto a quanti erano colpiti dai bombardamenti. Riferiscono gli atti del processo di beatificazione, che non appena la sirena annunciava la fine dei bombardamenti, egli usciva solerte, portando il poco che aveva e recandosi nelle zone più colpite, per dare sollievo ai fratelli e alle sorelle feriti e disperati.

L’umiltà è anche e soprattutto questo: dimenticare se stessi per abbracciare il bisogno dell’altro, dimenticare totalmente se stessi per mettere l’altro al primo posto, in un atteggiamento che il mondo giudica folle, ma che, per il credente, è esattamente la “follia” della santità, la profezia del cristiano, la testimonianza della Chiesa quando è autentica!

I numerosi beneficiati della sua opera e coloro che hanno collaborato ad essa sono stati i primi protagonisti del processo di beatificazione, che ha condotto il Beato Nicola all’onore degli altari.

La terza ed ultima caratteristica, dopo la preghiera e l’umiltà, che la nostra Madre Chiesa indica alla nostra contemplazione è il silenzio. Lasciatemi esclamare: che bisogno abbiamo oggi di silenzio! Come può l’uomo fare silenzio? Che cosa è davvero il silenzio e perché oggi ne abbiamo così paura?

Il silenzio è la condizione indispensabile perché emerga la coscienza, perché emerga l’io e, insieme, perché si possa ascoltare Dio. In una società come la nostra, dove il rumore regna sovrano, ad ogni ora del giorno e della notte, dove pare non esserci posto per il silenzio, in alcun ambito della vita, da quello pubblico a quello lavorativo, a quello intimo della casa e degli affetti, in una cultura nella quale portiamo, dietro di noi, attraverso i moderni e grillottanti mezzi di comunicazione, i protagonisti del rumore, in questa cultura è divenuto quasi impossibile immaginare che cosa sia davvero il silenzio.

È divenuta un’esperienza così estranea alla quotidianità, che molti ne hanno quasi paura. È l’horror vacui, l’orrore del vuoto, la paura del vuoto che da sempre attanaglia il cuore dell’uomo. La paura del vuoto che ci ricorda costantemente la grande paura, quella della morte.

Ma il silenzio cristiano, il silenzio che emana come musica soprannaturale nel Beato Nicola da Gesturi, non era affatto un silenzio vuoto, un silenzio determinato da una impossibilità, o incapacità a comunicare. Non era il mutismo disperato di chi, privo della luce della fede, sta di fronte ad un baratro, ma, piuttosto, il silenzio commosso e stupefatto di chi fa, quotidianamente, istante dopo istante, esperienza del mistero, è un silenzio adorante, un silenzio nel quale, a contatto con il soprannaturale, maturano i gesti di carità.

Il silenzio è esattamente questo: stare di fronte ad una Presenza. E se noi ne siamo così incapaci, è perché abbiamo perduto la coscienza della Presenza di Cristo. La cultura dominante, inoltre, concorre diabolicamente ad evitare, in maniera quasi assoluta, ogni esperienza di silenzio in quanto sa bene che, non appena il cuore dell’uomo fa silenzio, emerge la coscienza della verità, del bene e del buono e la coscienza parla al cuore e alla mente, perché si convertano e tornino a Dio.

Il simpatico soprannome che i contemporanei davano al Beato Nicola: “Frate Silenzio” non era indice della sua estraneità dai fratelli, al contrario, della sua profonda immersione nello stesso mistero di Dio e, dunque, della consapevolezza che nessuna parola dovesse andare perduta o essere pronunciata a caso; che ogni espressione dovesse radicalmente rimandare a Dio e mai a se stessi. Fra Nicola non viveva semplicemente la Regola dei Cappuccini, non osservava semplicemente la Regola; egli era la Regola! La Regola tradotta quotidianamente, ad ogni respiro, in atteggiamenti esistenziali, semplici e da tutti comprensibili. Che scuola per ogni Religioso!

La sua sobrietà nel parlare e nello scrivere a chiunque sono testimonianza di questa esigenza di radicalità, che caratterizzava la sua esistenza. Egli viveva il “sine glossa” del suo serafico Padre Francesco. Fra Nicola taceva per ascoltarsi, per ascoltare e per percepire, in se stesso, la Presenza dell’Eterno Silenzioso, che è Dio stesso. Egli conosceva per esperienza lo spessore dell’espressione “Silentium Tibi laus” (il silenzio è per Te lode, spesso scritto sui muri interni degli antichi monasteri e conventi) , egli desiderava cogliere i segreti impulsi di amore, che Dio gli suggeriva, per poterli continuamente riversare sui fratelli, che quotidianamente incontrava per le vie di Cagliari. Era, il suo, un silenzio carico di Presenza; un silenzio carico di dialogo con Dio e di amore; un silenzio capace di trasmettere, come nessun altro, l’amore del Signore, il silenzio delle anime ricche e che più delle altre comunicano nella realtà del Corpo Mistico.

Quanto bisogno abbiamo, fratelli carissimi, di questo silenzio! Quanto bisogno abbiamo di riscoprire nella nostra vita, anche e soprattutto in questo Anno Straordinario Giubilare della Misericordia, l’importanza della preghiera, dell’umiltà e del silenzio.

Ringraziamo Dio di averci dato Frate Silenzio; ringraziamo Dio di averci dato questo santo Frate, che richiama con forza ciascuno di noi al dovere di riconoscere Dio nella propria vita, al dovere di pregarlo e amarlo con umiltà, al dovere di ascoltare la Divina Volontà nel silenzio e nel raccoglimento, al dovere di essere canali dell’amore di Dio per il nostro prossimo.

Eleviamo la nostra lode al Signore di ogni misericordia perché, anche per l’intercessione del Beato Nicola da Gesturi, in questo Anno Giubilare, possa sempre e di nuovo essere trasformata la nostra vita; perché ciascuno passi dalla superbia dell’autonomia all’umiltà della preghiera, perché da questa preghiera nasca la virtù dell’umiltà che riconosce Dio come Padre e gli uomini come fratelli; e perché lo stupore di fronte alla Presenza di Dio che ci ama, possa generare un silenzio capace di conversione e di testimonianza.

La potente intercessione di Nostra Signora di Bonaria, che più di tutti è stata vivente preghiera, icona di umiltà e che, nel silenzio, custodisce i più grandi misteri di Dio, ci sostenga sempre nel cammino di conversione.

Con il Beato Nicola concludo dicendovi “preghiamo e confidiamo in Dio a vederci nel santo Paradiso. Siano lodati Gesù e Maria!”

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