“L’ARCHITRAVE CHE SORREGGE LA VITA DELLA CHIESA È LA MISERICORDIA” (MV, 10).

PROLUSIONE AL CONVEGNO "MISERICORDIAE VULTUS" - 31 MARZO 2016

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E’ per me motivo di particolare gioia e gratitudine al Signore, in questo Anno Giubilare straordinario, inaugurare l’atteso Convegno “Misericordiae Vultus”. Questi giorni ci offriranno la concreta opportunità di approfondire, in comunione di fede, il mistero della misericordia cristiana, secondo una molteplice prospettiva: guarderemo, anzitutto, ai tratti e ai fondamenti teologici della misericordia; quindi, passeremo alla considerazione dell’altissimo “ministero”, che la Chiesa ha sempre accolto e vissuto “al servizio” della misericordia, soprattutto celebrando il sacramento della Riconciliazione; infine, contempleremo il frutto e l’espressione della divina misericordia nella vitalità della Chiesa: nelle opere di misericordia, corporale e spirituale e nella testimonianza dei santi, che hanno incarnato questa fede operosa in modo straordinario.

Per la Penitenzieria Apostolica, tale occasione rappresenta - potremmo dire - una sorta di “esplorazione speleologica”, per mezzo della quale ci sarà permesso di ascoltare lo scorrere di quel “fiume carsico” che è la misericordia; un fiume, che vivifica da sempre ed incessantemente l’intero campo della Chiesa e, attraverso di essa, del mondo. Al servizio della misericordia si svolge, nascosta nel Cuore di Cristo, tutta l’attività di questo peculiare Tribunale che, non a caso è il primo organismo della Curia papale per antichità di fondazione.

Intendo introdurre il percorso di questi giorni, soffermandomi con voi sulle parole, con le quali il Santo Padre ha indicato il nesso essenziale tra la Misericordia e la vita della Chiesa, al numero 10 della Bolla di indizione dell’Anno Santo: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia».

Quella dell’architrave è un’immagine, per certi versi, piuttosto “ampia”: l’architrave, infatti, è un elemento assolutamente “essenziale” per ogni edificio, che presuppone molti altri elementi architettonici, senza i quali, semplicemente, non avrebbe ragion d’essere. Cercherò perciò di sviluppare il mio intervento, prendendo spunto da questa indovinata metafora della Misericordiae Vultus.

Anzitutto l’architrave, come ho appena detto, presuppone per se stesso l’esistenza di un edificio e ci invita, così, a considerare la Chiesa, che crediamo essere Cattolica e Apostolica, quindi missionaria e strutturalmente “in uscita”, anche nelle sue dimensioni di Unità e di Santità: la Chiesa appare come la “Domus aurea”, la Casa d’oro, l’Edificio spirituale, nella costruzione del quale veniamo impiegati come pietre vive (cf. 1Pt 2,5) e che ha, quale unico fondamento, Cristo stesso (cf. 1Cor 3,11).

Potremo soffermarci con attenzione sulla struttura dell’architrave, quindi, nella misura in cui saremo interessati a varcare la soglia di questo edificio e ad abitarlo, come la nostra definitiva Casa. È questo, infatti, il Tempio distrutto dagli uomini e ricostruito il terzo giorno (Gv 2,19), non fatto da mani d’uomo. Esso si è dischiuso a noi nel Battesimo, per opera dello Spirito Santo. In questa Casa, l’umana esistenza raggiunge ed abbraccia il proprio significato in modo integrale, presentando all’altare quell’oblatio rationabilis, quel culto spirituale, che offre, in unione a Cristo Signore, il sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cf. Rm 12,1).

Di questa “Domus aurea”, in questo edificio spirituale e storico che è la Chiesa, Cristo stesso è la Porta, la Via. È via “stretta” perché personalissima e, nel contempo, realmente “cattolica”, perché aperta ed accessibile a tutti. In questo tempio santo, la vita è continuamente illuminata dalla luce di “Cristo-Verità”, che liberamente entra e tutto illumina, attraverso l’ininterrotto insegnamento degli Apostoli e dei loro successori, in comunione con Pietro. Al suo interno, l’infinita (perché divina) Vita di Cristo, viene comunicata alla moltitudine dei fratelli, rinati dall’unico fonte, grembo della Santa Madre Chiesa. Essi sono sia abitanti della Domus, sia pietre vive, impiegate nella costruzione dell’Edificio. Questa Vita si comunica, in modo eminente, nel banchetto e nel sacrificio eucaristico-sacramentale, pegno reale di quello escatologico, che tutti unisce ed eleva alla presenza del Padre, in forza dell’unica Croce di Cristo.

Per conseguenza, è una la Chiesa che Cristo, Crocifisso e Risorto, ha generato e genera, da oltre duemila anni; è questo il luogo della vita vera, nuova ed eterna, che abbiamo ricevuto; è questo il luogo della comunione salvifica con il Figlio di Dio fatto Uomo; comunione salvifica, nella quale vorremmo vedere tutto il mondo convertito, raccolto e trasfigurato; comunione salvifica, che rappresenta l’unica, vera meta di tutta la missione della Chiesa.

Guardando alla realtà della Chiesa, nel suo più ampio respiro teologico-sacramentale, consideriamo la ricchezza dell’immagine adoperata dal Santo Padre: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la Misericordia». Di questo “architrave” vorrei parlare secondo una triplice prospettiva: anzitutto, ne considererò la visibilità e lo splendore; quindi, i presupposti e la struttura; infine, l’insostituibile ed imprescindibile funzione.

 

1. Visibilità e splendore

In primo luogo, l’architrave si presenta come un elemento architettonico strutturale, essenziale per l’intero edificio, in ogni sua parte. Esso è adoperato in modo preminente nella facciata. Basti pensare all’uso dell’architrave nella trabeazione romana ed ellenica: ben visibile all’esterno, molto spesso viene arricchito, in vario modo, da preziose decorazioni; non è, tuttavia, un elemento anzitutto decorativo, ma sostanziale ed indispensabile, per la tenuta dell’intero edificio.

Muovendoci nello spazio di questa immagine -  ovviamente con tutti i limiti propri di ogni analogia - possiamo affermare che la misericordia è, ed è sempre stata, ben “visibile” come architrave, in tutta la storia della Chiesa.

Uscendo dalla metafora, non vi è mai stata un’epoca, nella quale la Chiesa non abbia annunciato convintamente il Vangelo della misericordia, fin dal giorno di Pentecoste, quando San Pietro, uscito dal Cenacolo, alla folla che con il cuore trafitto domandava che cosa dovesse fare, rispondeva: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi, infatti, è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro» (At 2,38-39).

Questo annuncio della divina misericordia, però, a differenza degli architravi di questo mondo, che vengono decorati per incontrare il gusto dell’osservatore, non ha bisogno di ornamenti, perché ha in sé tutto il suo splendore. Come afferma l’Apostolo: «Anch'io, fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,1-2).

Se è vero che la Chiesa ha dovuto affrontare più volte, lungo i secoli, la perenne tentazione dell’uomo di salvarsi autonomamente, essa ha anche sempre risposto, difendendo e riaffermando, innanzi a tutti, l’assoluta gratuità della Misericordia, la quale esige, certamente, un sincero pentimento, ma rimane infinitamente più grande di ogni umana bruttura.

Così, la Chiesa, al donatismo del IV secolo, che voleva l’esclusione dei lapsi dalla comunione, ha risposto con la riammissione dei fratelli pentiti e con la fondamentale verità dottrinale dell’ex opere operato.

Al pelagianesimo del V secolo, ha risposto con l’approfondimento agostiniano della dottrina della Grazia.

All’eresia catara-albigese del XII e XIII secolo, ha risposto, nella predicazione degli Ordini mendicanti, con la bontà ed unità della creazione, integralmente assunta e salvata da Cristo.

Al luteranesimo del XVI secolo, ha risposto, riaffermando la reale efficacia della giustificazione per grazia, la verità dei Sacramenti - in special modo quelli dell’Eucaristia e della Riconciliazione e per ovvia conseguenza dell’Ordine Sacro - e la bontà e la sufficienza dell’attrizione per ottenere il perdono dei peccati. Inoltre, per straordinaria benedizione celeste, la Domus Aurea ha potuto mostrare i suoi frutti più belli nei santi laici, religiosi, mistici, pastori e missionari di quel tempo: si pensi solo, per esempio, a San Filippo Neri, a Sant’Ignazio di Loyola, a San Carlo Borromeo, a San Francesco di Sales, a San Camillo de Lellis, a Santa Teresa d’Avila, ma l’elenco potrebbe diventare un vocabolario!

Al legalismo e rigorismo giansenisti, nel XVII e XVIII secolo, la Chiesa ha risposto con la dottrina morale dell’azione preventiva, simultanea e successiva della Grazia, che ha in Sant’Alfonso Maria de’ Liguori il suo campione e nei santi pastori dell’Ottocento, basti pensare a San Giovanni Bosco, i frutti più preziosi.

Al modernismo del secolo scorso, che pretendeva di elevarsi ad unico reale interprete dell’uomo e delle sue esigenze, ha risposto con i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, che hanno riaffermato Cristo-Dio quale unico reale compimento di ogni uomo e la Chiesa come realtà divina e umana al contempo, nelle sue irriducibili dimensioni sacramentale, liturgica e missionaria.

Alla dittatura del relativismo filosofico e religioso dell’epoca contemporanea, che - per dirla con il salmo - “concepisce malizia e partorisce menzogna”, la Chiesa risponde riaffermando, ancora e sempre, l’unicità salvifica universale di Cristo e la Sua Verità cosmica, nella quale si iscrivono la storia, l’intera creazione, la natura e la dignità dell’uomo e, infine, la sua irriducibile libertà di fronte all’offerta della salvezza.

Davvero miope sarebbe, dunque, chi pretendesse di far risalire all’epoca più recente della Chiesa (magari agli ultimi cinquant’anni) l’annuncio dell’amore di Dio e della Sua misericordia, contrapponendoli magari a fantomatici lunghi secoli di “terrore clericale”, in cui si sarebbe parlato troppo del Giudizio di Dio e dei castighi dell’inferno. Certamente occorre evitare sempre ogni pericoloso unilateralismo. Inoltre, per correggere eventuali esagerazioni non si può ricorrere ad altrettanti esagerazioni. Ritengo che una reale attenzione, anche nella predicazione, alle prerogative divine dell’Onnipotenza e del Giudizio, a Dio come “Terribilis”, possa solo concorrere all’annuncio della Misericordia. Risulta molto più interessante, infatti, la libera scelta di amore e di misericordia che Dio compie nella Sua Onnipotenza, piuttosto che l’idea di un Dio “obbligato” ad essere misericordioso, senza sceglierlo sempre, di fronte ad ogni uomo, ad ogni circostanza, ad ogni singolo peccato.

 

2. Presupposti e struttura

Individuato l’architrave della Misericordia come elemento architettonico ben visibile nell’edificio della Chiesa, possiamo analizzarne i presupposti e la funzione.

Anzitutto, parleremo dei presupposti, perché, come ogni architrave, non è, a livello architettonico, “spingente”, ma “portato”. Mi spiego. L’architrave è un elemento orizzontale, che avrà anche - come vedremo - la funzione di sorreggere una parte superiore, ma esso non insiste direttamente sul terreno, bensì scarica il proprio peso su due bracci verticali, chiamati “piedritti”, distribuendo, così, anche il peso delle strutture superiori.

Soffermiamoci sui presupposti essenziali della misericordia per la vita della Chiesa; verificata la “saldezza” di queste colonne, potremo guardare con serenità e fiducia allo sviluppo dell’intero edificio.

Quali sono i due presupposti, le due “colonne portanti” dell’architrave della misericordia? Quali sono quei sostegni, senza i quali, esso non potrebbe sorreggersi?

Molti forse ne rimarranno stupiti, ma dobbiamo anzitutto affermare che, teologicamente parlando, la “misericordia” non è un attributo “originario” di Dio.

Mi spiego. Con San Giovanni Apostolo, possiamo e dobbiamo anzitutto confessare che «Deus Caritas est - Dio è Amore». Possiamo e dobbiamo, cioè, affermare che Dio, inviando il proprio Figlio fatto Uomo in Gesù di Nazareth Signore e Cristo, morto e risorto, ci ha fatto conoscere di essere, in Se stesso, nel Suo proprio Essere, Amore. Amore delle Tre Divine Persone: il Padre è Colui che ama, l’Amante; il Figlio è Colui che è amato, l’Amato; lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, è l’Amore. Tale Amore intra-trinitario, però, non può configurarsi, in Se stesso, come misericordia, perché non conosce alcuna “gerarchia ontologica” tra le Tre Divine Persone, che sono uguali nell’unica e medesima Natura. Non sarebbe in alcun modo accettabile l’idea che il Padre dovesse “aver misericordia” del Logos o dello Spirito Santo!

Quando, allora, possiamo cominciare ad affermare, con il Salmo, che «eterna la sua misericordia»? (Sal 135). Quando Dio crea.

Quando Dio crea il cosmo spirituale e quello materiale e, soprattutto, quando crea l’uomo, partecipe, al contempo, dell’uno e dell’altro cosmo. Dio, che è Santissima Trinità, poiché è comunione di Persone, in Se stesso Relazione con Altro da Sè, può anche creare, concepire, cioè, qualcosa che è “totalmente altro” da Sè. Egli così crea ciò che vuole, vuole ciò che ha creato e, creando la persona umana, intelligente e libera, Egli propriamente ama al di fuori di Sè. Ama l’uomo libero e chiama l’uomo all’amore.

“Questo” Amore di Dio, rivolto a noi e da noi riconosciuto, è, ad un primo livello, che potremmo definire “creaturale”, la “misericordia”! Amore assolutamente gratuito, perché divinamente libero, che si posa su ciò che è “misero”, perché infinitamente distante dalla perfezione divina.

La misericordia, pertanto, in un primo senso, ha quale duplice presupposto la libertà divina che crea e l’esistenza stessa dell’uomo creato. Tale misericordia, per volontà di Dio, è irrevocabile, tanto che nemmeno nella dannazione eterna, che l’uomo si auto-infligge, con il proprio peccato e l’impenitenza finale, Dio priva le anime dannate del dono misericordioso dell’essere e dell’esistenza. La Trinità Santissima, Beata e Perfetta in Se stessa, ha voluto, così, legare a Sè l’esistenza umana, per sempre, e noi, allora, possiamo veramente cantare, insieme agli angeli: «eterna è la sua misericordia»!

L’immagine, che ho adottata, presenta, a questo punto, tutti i suoi limiti, poiché, ovviamente la libertà increata ed eterna di Dio e la libertà creata e temporale dell’uomo non possono concepirsi in modo paritetico, né tantomeno sono ontologicamente coessenziali. La libertà divina, infatti, è sussistente in senso assoluto e non è necessitata da nulla; la libertà dell’uomo, invece è creata e, quindi, dipende essenzialmente dalla libertà divina, che la mantiene nell’esistenza. La libertà umana diviene indispensabile al mistero della misericordia proprio e soltanto perché, creandola, Dio la vuole.

Ma vi è un ulteriore livello della misericordia, che non soltanto fa esistere l’uomo, ma entra in rapporto con l’uomo creato. Questi, infatti, pur essendo fatto da Dio e per Dio, decide di peccare, di rivolgere, cioè, la propria libertà contro il suo Creatore, macchiandosi, in tal modo, di una colpa infinitamente grave; una colpa dalla quale, con le sue povere forze, non potrà rialzarsi.

Ecco allora che, per Volontà divina, si sviluppa, dentro lo spazio della creazione, la nuova, grande iniziativa dell’Amore Eterno: «Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, ad una Vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamando Giuseppe. La Vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26-27). Dopo essersi formato il popolo di Israele, dopo avergli rivelato la Legge ed avergli così mostrato il suo peccato, Dio si rivolge a Maria per salvarci.

Dall’incontro tra la libertà divina increata e la libertà creata ed immacolata di Maria Santissima, che accoglie l’Annuncio dell’angelo, scaturisce una nuova e definitiva misericordia: l’Incarnazione del Verbo. Il Figlio dell’Eterno Padre prende la nostra carne in Lei; da Lei, si lega in modo nuovo e indissolubile alla natura umana e, nel mistero della Sua Incarnazione, Morte e Risurrezione, diventa Egli stesso, per sempre, “la” misericordia. In Cristo, Figlio dell’Eterno Padre e Figlio di Maria, si dischiude definitivamente a noi l’intimità divina: Egli sacrifica Se stesso sulla Croce per il nostro peccato, offre a ciascuno di noi la salvezza e ci rende personalmente partecipi della sua stessa vita.

Sulla divina misericordia del Cuore divino-umano di Cristo si edifica la Chiesa, sacramento universale di salvezza e ministra della misericordia, in quanto continuazione, nello spazio e nel tempo, della presenza viva e dell’opera salvifica di Cristo.

Dentro la vita della Chiesa, poi, per mezzo del ministero apostolico, partecipe all’unico, eterno e sommo Sacerdozio di Cristo, l’architrave della misericordia, in un certo senso, si “prolunga”, quasi allargando il perimetro dell’edificio, man mano che, per la grazia della vocazione, la libertà creata di un uomo risponde al dono della chiamata di Cristo e si offre al suo servizio, nell’affascinante avventura del Sacerdozio ministeriale.

Tutta la Chiesa è, così, come “impastata” di questa misericordia e su di essa sviluppa tutta la propria vita. Lo stesso ministero petrino - ben lo sappiamo - nasce dalla misericordia di Cristo, che dopo la triplice professione d’amore, che aveva seguito il triplice tradimento, affida a Pietro il proprio gregge: «Il suo - ci ha ripetuto San Giovanni Paolo II - è un ministero di misericordia nato da un atto di misericordia di Cristo» (Ut Unum Sint, n. 93).

 

3. Insostituibile ed imprescindibile funzione

Chiariti i presupposti essenziali e la struttura dell’architrave, non resta che delinearne la funzione. Sostenuta, infatti, dal mistero della libertà divina e dalla risposta della libertà umana, che ne accoglie la salvezza, la misericordia sorregge a sua volta tutta la vita della Chiesa; si potrebbe dire è “al principio” della vita della Chiesa, in un duplice senso.
a) Primariamente, la vita della Chiesa si sviluppa per un atto sempre nuovo della misericordia di Cristo che, attraverso il ministero ecclesiale, consacra il battezzato e gli comunica la propria stessa vita.
b) In secondo luogo, tale principio della Chiesa, non consiste in un “inizio cronologico”, da lasciarsi poi alle spalle, ma in un “principio ontologico”: esso costituisce così l’unica, sempre necessaria e nuova “origine della vita” della Chiesa, che è sostenuta e guidata dalla grazia di Cristo, accolta nell’ascolto dell’insegnamento Apostolico e nella preghiera, nutrita e perfezionata dalla Santissima Eucaristia - “Sacramentum Caritatis” - restaurata e rinvigorita dalla Riconciliazione sacramentale.

Considerando proprio la Riconciliazione vedremo come la misericordia possa “accadere”, sacramentalmente, soltanto nell’incontro tra due libertà coinvolte: quella divina e quella umana. Il Sacramento della Confessione, infatti, domanda questo duplice indispensabile concorso.

La libertà divina è data, definitiva, irrevocabile e, ogni qual volta un ministro è disposto ad offrirla, essa diviene sacramentalmente accessibile. L’altra, quella umana, si esprime invece nel pentimento, nel dolore del peccato commesso, unito al proposito di non più commetterlo in avvenire, e nell’accusa che apre concretamente il cuore del peccatore alla verità salvifica di Cristo. La libertà umana conserva sempre, quindi, il potere tremendum, nel tempo di questo pellegrinaggio, di accogliere il mistero della divina misericordia, lasciandosene interiormente trasformare e rinnovare, oppure di rifiutarlo, mostrando così come l’Onnipotenza stessa di Dio, che ama sempre e per sempre, ami, sopra ogni cosa, proprio questa nostra libertà. Egli la ama e la rispetta, tanto da riversarvi tutte le ricchezze del Suo Cuore, non appena essa accenni ad aprirsi. Cionondimeno, Dio rispetta la scelta umana, qualora tragicamente dovesse decidere di non lasciarsi amare, oppure, che è lo stesso, non si decida alcunché. Dio, infatti, non fa mai violenza ad alcuno!

La misericordia, che opera nella Confessione sacramentale, non farà altro che liberare e sprigionare la grazia del sacramento del Battesimo, prima fonte e perenne principio della misericordia (Architrave) che edifica la Chiesa (Domus Aurea).

Ritengo che solo questo realismo integrale, riguardo la divina misericordia, potrà suscitare e sostenere la tanto attesa nuova evangelizzazione annunciando, senza paure né complessi, la verità di Cristo Salvatore. Oggi è più che mai necessario “provocare” la libertà dell’uomo, che si troverà così, finalmente, di fronte al fatto più inaudito e grande della storia: Dio fatto uomo, morto e risorto, che abita in mezzo a noi.

In quest’opera di evangelizzazione, per la quale abbiamo consegnato tutta la nostra vita nella consacrazione battesimale (e alcuni di noi anche sacerdotale), ci sorregga la Beata Vergine Maria Immacolata, opera perfetta e riflesso purissimo della divina misericordia ante praevisa merita! Ci insegni Lei la totale e sempre nuova disponibilità alla volontà di Cristo; ci insegni Lei l’obbedienza fedele ed operosa alla presenza del Redentore nel mondo e ad ogni Sua Parola; ci insegni Lei a percepire nel cuore l’urgenza dell’Amore Incarnato, Crocifisso e Risorto, che soavemente arde in noi e ci sospinge, perché ne infiammiamo il mondo intero.

Apparirà sempre più, agli occhi del nostro cuore, la verità che Maria Santissima contempla nella beata eternità: Dio, nella creazione e nella redenzione, è misericordia, è tutto misericordia, è solo misericordia!

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