IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA COME TESTIMONIANZA DI VITA RICONCILIATA - Intervento del Reggente al VI Simposio dei Penitenzieri, Loreto 19 Gennaio 2015.

reggente

Introduzione

Educare alla misericordia è uno degli aspetti più significativi della vita cristiana che si inserisce nell’orizzonte più ampio, non solo della pastorale della Chiesa, ma delle sfide che caratterizzano il nostro tempo. Viviamo in un contesto culturale complesso, plurale, fortemente secolarizzato e, per alcuni tratti, non definibile; una società che ha smarrito il senso di Dio e, di conseguenza, ha perduto la tensione verso il soprannaturale. In questo panorama socio-culturale, con tutto ciò che si porta dietro, l’uomo non sa più chi sia, da dove viene e verso dove è diretto. Perduta la bussola che lo orienta verso il Dio di Gesù Cristo, riferimento primo e ultimo dell’uomo, del creato e della stessa storia, vive in riferimento a se stesso, alle proprie sensazioni, in un disagio che lo presenta come un esistente senza una vocazione al trascendente. L’io, l’emozionale, l’affettività senza verità, condite dal tutto e subito, mettono in chiara evidenza la fragilità della persona e al contempo la sua falsa concezione di autonomia. Senza andare oltre, in queste poche righe ho delineato i tratti descriventi il contemporaneo. Ma questo lo sappiamo, poiché accade sotto gli occhi di tutti.

Qui si colloca l’emergenza educativa di cui si è fatta carico la Chiesa Italiana. La scelta di campo educativa degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, dal titolo “Educare alla vita buona del vangelo”, appare come punto di convergenza di tre direttrici:

  1. La continuità con gli Orientamenti del decennio precedente (Comunicare il vangelo in un mondo che cambia);
  2. Il Convegno Nazionale di Verona, celebrato nell’ottobre 2006;
  3. L’eco lontano, ma sempre attuale, del decreto Conciliare Gravissimum educationis.

Proprio rifacendosi agli enunciati del Proemio, gli Orientamenti vogliono approfondire il ruolo educativo della Chiesa dentro la storia. Ma c’è un’espressione rilevante che, tra le tante presenti negli Orientamenti 2010-2020, ha catturato la mia attenzione e che desidero condividere con voi: «Educare alla vita buona del vangelo significa in primo luogo farcidiscepoli del Signore Gesù, il Maestro che non cessa mai di educare a una umanità nuova e piena. Egli parla sempre all’intelligenza e scalda il cuore di coloro che si aprono a Lui e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della bellezza del Vangelo»[1]. Mi sono dilungato un po’ nella citazione, ma mi sembrava utile in questo contesto, poiché in essa si scorgono alcuni temi fondamentali che torneranno utili nel prosieguo della relazione. Inoltre, tale scelta è motivata dalla premura che nasce dalla paternità spirituale di cui si è rivestiti per grazia in quanto sacerdoti.

Alla luce di quanto detto finora mi preme sviluppare il tema della mia relazione in due momenti. Il primo porta come titolo Educare alla penitenza e alla misericordia, e delinea lo sforzo di noi sacerdoti confessori, meglio anche se catechisti-educatori, di prendere per mano il credente, più o meno praticante, secondo un percorso di illuminazione e coscientizzazione delle reali possibilità di incontro con la misericordia salvatrice di Gesù Cristo, nella logica del discepolato. Il secondo dal titolo Educati dalla penitenza e dalla misericordia nel quale, sperimentato l’amore misericordioso del perdono di Dio in Cristo nel sacramento della penitenza, la vita del credente si apre alla testimonianza e all’attestazione di quel dono che distrugge il male ed edifica il bene, risorge e vivifica, di cui si è fatto esperienza in prima persona. Solo colui che ha fatto e fa esperienza di vera ed effettiva riconciliazione con Dio e con i fratelli, diventa un testimone credibile di una vita autenticamente riconciliata.

 

1. Educare alla Penitenza e alla misericordia.

Questa parte della mia relazione, come già accennato, intende individuare possibili dinamiche educative della fede e le condizioni che le consentono, nell’ambito del rinnovato impegno educativo della Chiesa. Per fare ciò è doveroso porsi la domanda: è possibile educare alla misericordia fuori dal quadro globale di educazione della vita cristiana? Certo, considerata la vastità del tema è necessario praticare una selezione di criteri che ci aiutano a dare una risposta adeguata e più esaustiva possibile. Non bisogna perdere di vista, però, che la nostra proposta educativa alla misericordia è offerta ai credenti, cioè a coloro che intendono continuare il loro cammino di fede iniziato nella comunità, come anche a coloro che decidono ricominciare, dopo averla smarrita, l’esperienza autentica della vita cristiana. Questi i destinatari ai quali ci rivolgiamo, senza dimenticare che purtroppo assistiamo anche nell’ambiente credente delle nostre comunità ecclesiali a svariate forme di secolarizzazione della fede, di credenti areligiosi o sfuggevoli dagli impegni battesimali. Non è una sfida da poco! Precisato questo vediamo l’orizzonte nel quale e dal quale è possibile un’educazione alla misericordia, che trovi nella celebrazione del sacramento della Penitenza il suo punto di arrivo e, al contempo, di ripartenza per un’autentica testimonianza di vita “pacificata”.

 

1.1. Unitarietà del discorso educativo della fede

Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, nel contesto del terzo capitolo dedicato all’Annuncio del vangelo, ricorda che l’evangelizzazione deve prendere sul serio ogni persona e il progetto che il Signore ha su di essa, dando luogo a un cammino di formazione e di maturazione[2], accompagnando i fedeli nei loro personali processi di crescita[3]. La sfida educativa dalla quale siamo interpellati sta proprio nell’assunzione di questo compito. Cogliamo subito che educare in sé, e soprattutto educare alla fede e di conseguenza alla misericordia, non è facile; soprattutto nei suoi dinamismi non bisogna dare nulla per scontato. La proposta educativa, in continuità con gli assunti di papa Francesco e degli Orientamenti dell’Episcopato italiano, deve mostrare come la proposta cristiana sappia accompagnare i processi della crescita della persona e come la graduale accoglienza della fede apra il credente a una visione soprannaturale della sua esistenza. La questione educativa della fede, orizzonte nel quale trova significato e possibilità l’educazione alla misericordia e al Sacramento della penitenza, va affrontata in una duplice direzione: come proposta educativa unitaria di iniziazione cristiana e come proposta che educhi a una nuova antropologia. Di cosa stiamo parlando?

Anzitutto dobbiamo dire che il termine stesso educazione, nel corso degli anni, ha subito dilatazioni di significato. Spesso è stato considerato come sinonimo di sviluppo, crescita, formazione, socializzazione, inculturazione, aggiornamento. Questo lascia emergere che l’idea di educazione sia sempre stata intesa in molteplici aspetti, accentuando una dimensione piuttosto che un’altra a seconda dell’ambito considerato. Al di là delle connotazioni di cui il termine educazione si è arricchito in questo tempo detto post-moderno[4], una cosa mi preme sottolineare: nell’attività educativa della fede e della vita cristiana si allarga la comprensione che l’intervento educativo non è più riconducibile all’azione di un solo soggetto (parroco, confessore, catechista, madre, padre), bensì a un’interazione di soggetti che lavorano in “rete” secondo una logica di reale collaborazione. Inoltre, vi sono dei presupposti all’azione educativa della fede: essa è sempre relazionale e si realizza sempre nei rapporti interpersonali, all’interno di strutture che favoriscono la relazioni (nel nostro caso la comunità ecclesiale, il confessionale). A questo va aggiunto il limite di una proposta educativa non più sufficiente, come quella che per tanto tempo ha dato rilievo solamente al dato oggettivo della fede, considerando come unico principio dell’educazione cristiana solo il versante dottrinale a scapito di altre dimensioni. È chiaro che tra conoscenza dottrinale e adesione personale alla proposta educativa della fede passa tutta la provocazione della percezione soggettiva. Siamo messi dinanzi a una svolta: dalla preoccupazione della sola dottrina (benché assolutamente necessaria nella sua integrità in ogni proposta educativa di vita cristiana), all’analisi della credibilità della proposta educativa stessa. I documenti magisteriali sulla catechesi, intesa come azione eminente di educazione della vita cristiana, hanno sempre tentato questa sintesi.

 

1.2. L’itinerario di iniziazione cristiana, un’esperienza educativa fondamentale

Conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni, il carattere drammatico è importante ma non è sufficiente. Come affermava il Beato Paolo VI, essere osservatori passivi dei fenomeni della vita dei giovani e degli uomini in genere, non è un buon servizio educativo che si offre alle coscienze. L’educatore è un maestro, un amico, un medico e un padre, uno al quale la vita della persona sta veramente a cuore[5]. Questi sono i criteri che devono sempre presiedere ogni cammino di iniziazione cristiana, come cammino educativo nel quale ogni singola proposta educativa della fede deve trovare ispirazione, luce e sostegno. L’iniziazione cristiana, ormai, lungi dall’essere una semplice preparazione ai Sacramenti, deve essere piuttosto considerata come un itinerario educativo della fede e della vita cristiana attraverso i Sacramenti, di cui sono certamente tappe costitutive ed essenziali. I vescovi italiani, negli Orientamenti 2010-2020, definiscono l’iniziazione cristiana non una delle tante attività della Chiesa, ma quella che «qualifica l’esprimersi proprio della Chiesa nel suo essere inviata a generare alla fede e realizzare se stessa come madre. Essa ha gradualmente assunto un’ispirazione catecumenale, che conduce le persone a una progressiva consapevolezza della fede, mediante itinerari differenziati di catechesi e di esperienza di vita cristiana. La celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, seguita da un’adeguata mistagogia, rappresenta il compimento di questo cammino verso la piena maturità cristiana»[6].

Sono consapevole che, di per sé, il Sacramento della Penitenza non appartiene alla triade sacramentale dell’iniziazione; tuttavia sono altrettanto convinto che una buona educazione all’esperienza sacramentale del perdono non possa prescindere da una sua collocazione in un orizzonte più ampio di educazione alla e della fede, nel quale ogni esperienza particolare di vita cristiana trova giusta motivazione, espressione e significato. In sostanza non è sufficiente istituire e avviare itinerari educativi su qualche aspetto della vita cristiana, al fine di risolvere il problema della sua valorizzazione e del suo significato nella vita del credente. Per intenderci non so quanto sia veramente utile programmare cammini di educazione sulla misericordia, sulla Penitenza o sul Matrimonio presi singolarmente, fuori o in modo parallelo (a volta anche sostitutivo) da processi più ampi di educazione, nei quali interagiscono più realtà che donano maggiore spessore teologico-liturgico-esperienziale alla celebrazione del sacramento della Penitenza e attraverso essa all’esperienza della misericordia. Motivare e condurre i credenti ad avere una visione secondo la fede della misericordia di Dio e dell’importanza del Sacramento della Penitenza, nel quale l’esperienza dell’amore misericordioso è quasi palpabile, è certamente una sfida pastorale non indifferente, alla quale si può adeguatamente rispondere se gli itinerari di iniziazione cristiana, a diversi livelli, avanzano una proposta di fede situata sul versante della verità della Rivelazione che meglio individua la verità dell’uomo. Vengo a chiarificare ciò che ho appena enunciato.

Per tanti anni gli itinerari di iniziazione cristiana si sono configurati sempre più per l’integrazione tra la dimensione conoscitiva della fede (come ad es. la catechesi, ecc) e le altre dimensioni della vita cristiana, quali quella liturgica, ecclesiale, etica e della testimonianza. Possiamo assolutamente dire che questa impostazione educativa della fede ha dato i suoi frutti, ma forse non secondo i desideri sperati dalla comunità ecclesiale. Infatti, se da un lato abbiamo fatto esperienza che questo discorso si basa su una conoscenza della fede che racchiude la celebrazione e la testimonianza, come anche il senso di appartenenza ecclesiale[7], dall’altra abbiamo assistito a un certo raffreddamento dei credenti nei confronti della Penitenza sacramentale e, di conseguenza, dei frutti di misericordia che produce nei cuori. Ecco già una delle tante difficoltà con cui fare i conti: quanti credenti, più o meno praticanti, avvertono un senso di appartenenza ecclesiale tale da avvertire la celebrazione della Penitenza come forza trascendente che dona vigore, incisività, nuovo orientamento alla propria vita spirituale? È solo una delle tante domande che ci possiamo porre. O quanti riescono ad associare il segno della riconciliazione con la realtà umana del quotidiano? Come già accennato in precedenza, purtroppo il terreno nel quale collochiamo la nostra attività educativa della fede molto spesso è fuori dal contesto proprio della fede; in sostanza si tratta di dover superare una certa visione secolarizzata di credenza cristiana.

Gli strumenti educativi della fede, pur tenendo viva la dimensione conoscitiva della fede, che è garanzia di un buon cammino spirituale in questi tempi di relativismo, è chiamata a situare la conoscenza stessa in un cammino di vita che abbia al centro la persona nella sua globalità, considerata come «terra sacra dinanzi alla quale ogni educatore deve imparare sempre a togliersi i sandali, nel rispetto e nella prossimità»[8]. Si tratta, in buona sostanza, di dare un orientamento più spirituale ai nostri itinerari educativi della fede. A questo punto penso sia importante domandarsi in quale orizzonte, e secondo quali categorie, la proposta di fede dei nostri itinerari educativi possa far nascere, motivare e maturare il desiderio, o meglio la nostalgia dell’amore misericordioso di Dio, attraverso l’esperienza della Penitenza sacramentale. Mi permetto in questo contesto di indicare una possibile via.

 

1.3. L’educazione alla penitenza e alla misericordia nella verità della Rivelazione

Per sviluppare questo pensiero mi rifaccio ancora agli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani per il decennio 2010-2020. Al capitolo quinto, sulle indicazioni per la progettazione pastorale, così si afferma: «Oggi è necessario curare in particolare relazioni aperte all’ascolto, al riconoscimento, alla stabilità dei legami e alla gratuità. Ciò significa: cogliere il desiderio di relazioni profonde che abita il cuore di ogni uomo, orientandole alla ricerca della verità e alla testimonianza della carità; porre al centro della proposta educativa il dono come compimento della maturazione della persona; far emergere la forza educativa della fede verso la pienezza della relazione con Cristo nella comunione ecclesiale»[9]. Come si nota la categoria chiave di queste indicazioni è la relazione, le sue qualità negli itinerari educativi della fede. Relazione dice accoglienza, reciprocità, dono, libertà, responsabilità. Queste parole dicono più di quanto dicono, se le leggiamo alla luce delle dinamiche della Rivelazione di Dio.

Nella dinamica rivelativa l’iniziativa di Dio di autocomunicarsi incontra l’uomo, lo cerca, lo chiama. La Parola di Dio più che un diritto è un dono da accogliere, un dono che ci fa colui che non è cercato (da noi), ma che cerca noi. Proprio questo dinamismo ci fa prendere coscienza della nostra libertà, della consapevolezza del nostro limite e del sentirci toccati, cercati per primo. All’iniziativa di Dio segue quella dell’uomo, il quale non è solo destinatario di una Parola, ma soggetto che interagisce perché inizi la relazione di fede e di amore. Questa è l’esperienza che hanno fatto i grandi personaggi biblici: Abramo, Giacobbe, Mosè, i profeti, lo stesso popolo dell’Antica e della Nuova Alleanza; in fondo sono stati cercati, raggiunti, toccati dalla misericordia amorevole di Dio che li ha resi partecipi, per dono, del suo amore, della sua liberazione, del suo perdono. Così mentre il Signore ci raggiunge, noi ci facciamo raggiungere, mentre ci parla, ci lasciamo parlare, mentre ci perdona, ci lasciamo perdonare; in una sola parola: Lui ci cerca e noi ci lasciamo trovare e amare. In questa relazione di incontro tra Dio che cerca e si dona e l’uomo che si lascia cercare e risponde si costruisce il rapporto tra verità e libertà, dono e responsabilità, esperienza e consapevolezza dell’esperienza vissuta.

Questa relazione mette in primo piano, quindi, un richiamo di conversione, di affidamento, che precede la stessa comprensione del mistero di misericordia e di perdono che si sperimenta e si vive, proprio sull’esempio delle grandi storie presenti nella Sacra Scrittura, in cui l’esperienza della liberazione prima e del perdono e poi, alla luce dello Spirito, vengono comprese, interpretate e raccontate alle nuove generazioni. Tutto ciò che ho detto finora che cosa significa per i nostri itinerari educativi della fede e delle sue molteplici espressioni? Come vivere la relazione educativa circa il perdono e la misericordia, nell’orizzonte più ampio dell’azione educativa della Chiesa, secondo il paradigma della Rivelazione?

 

2. Educati dalla Penitenza e dalla misericordia. Una vita rinnovata

In questa seconda parte desidero sottolineare come la dinamica della Rivelazione, all’interno di un itinerario di iniziazione e di educazione alla fede, avvia il credente verso una presa di coscienza del dono del Sacramento della Penitenza come segno dell’amore misericordioso di Dio che chiama a conversione e dona una vita rinnovata dalla grazia. Proprio i racconti della Rivelazione ci introducono alla conoscenza della pedagogia divina del Dio paziente e misericordioso. A tal proposito, ritengo opportuno far riferimento, seppur brevemente, ad alcuni episodi del Nuovo Testamento, che mi sembrano paradigmatici di un perdono ricevuto e della misericordia divina sperimentata, che hanno dato avvio a una vita riconciliata con Dio, se stessi e i fratelli e che diventa a sua volta motivo di annuncio e di testimonianza. Di solito, in questi contesti, anche alcuni testi magisteriali espongono la parabola del Padre misericordioso o del figliol prodigo[10]; invece desidero rivedere con voi i momenti più salienti della storia di Zaccheo (cf. Lc 19,1-10) e della testimonianza del perdono ricevuto da s. Paolo (cf. 1Tm 1,12-16).

 

2.1. Lo sguardo misericordioso di Cristo: Lc 19,1-10

L’esperienza di Zaccheo. Abbiamo detto che è sempre Dio a cercare l’uomo, poiché il perdono, la salvezza e la vita rinnovata nascono dall’incontro personale tra Dio e l’uomo. Poiché Dio ha mandato il suo unico Figlio, Cristo Gesù, ora è Lui che incontra la persona. È l’incontro con lo sguardo di Gesù che cambia la storia di una persona, la trasforma e le dona un nuovo corso. In sostanza non è tanto vedere noi Gesù, mediante l’acutezza di salire sull’albero di turno che assicura l’incontro con il perdono e la misericordia di Dio, quanto l’essere stato cercato e individuato dallo sguardo del Signore. La presenza come condizione e la curiosità di vedere passare Gesù, benché importanti, non garantiscono l’incontro salutare. La cosa che stupisce è che Gesù non gli dice: ti sono perdonati i peccati, come in altri contesti, ma gli manifesta semplicemente il desiderio di volersi fermare a casa sua. Certamente la gioia di Zaccheo non è solo quella di avere come ospite il Signore, ma soprattutto dal fatto che lo sguardo amorevole di Gesù ha mosso qualcosa nel suo cuore; è come se in quell’incontro lo avesse demolito e ricostruito, poiché si è sentito perdonato e rinato. In sostanza quello sguardo è stata una vera e propria grazia. Successivamente quanto Zaccheo dice al Signore attesta  e rivela una vita riconciliata con Dio, i fratelli e le cose. Il suo è stato un vero cambiamento, una vera conversione, poiché dona la metà di ciò che è suo e restituisce ai malcapitati il quadruplo di quanto ha defraudato. Ci si converte perché il Signore con il suo perdono e la sua misericordia, crea un cuore nuovo, una vita nuova. Possiamo concludere dicendo che se la conversione è vera nuova creazione di Dio, essa allora non è il frutto della sola predicazione, poiché ad essa si deve sempre aggiungere la grazia sacramentale.

 

2.2. La “confessione” del Dio misericordioso di Paolo: 1Tm 1,12-16

L’esperienza di Paolo. Un’altra stupenda storia di esperienza della misericordia di Dio in Cristo, che si trasforma in testimonianza e confessione di fede sulla bontà di Dio è quella di Paolo, l’apostolo delle genti. Anche questa esperienza potrebbe rivelarsi paradigmatica per un’educazione alla misericordia di Dio, ogni qual volta si fa esperienza del Suo perdono mediante il Sacramento della Penitenza. Educare a partire anche dalla propria storia perdonata e rinnovata è un vero atto di testimonianza dell’amore misericordioso di Dio. Tornare indietro nel tempo, rileggere la propria vita alla luce dell’incontro con la misericordia di Dio che ha rimesso in moto il nostro cuore, donandole una dimensione di vita trascendente e credente, è possibile nell’esperienza della Confessione. Si riconosce Dio come la fonte di tutto il bene che c’è nel mondo e che compie anche attraverso noi. Paolo sa bene di essere stato un bestemmiatore perché disonorava la Persona di Cristo, combattendo la sua verità e la sua grazia, il suo Corpo, la Chiesa. Sa di essere stato anche un persecutore di Cristo, di aver approvato la morte di Stefano e di voler oltraggiare la vita di Cristo nei suoi discepoli. In lui c’è il desiderio della verità, non però la conoscenza della verità; la sua coscienza, e quindi la sua conoscenza, erano deformate. Ma accade qualcosa di particolare nella sua vita che fa in modo che la sua storia si trasformi in un annuncio di fede, in una professione di fede. Dalla sua situazione di morte spirituale, che generava altre forme di morte, Paolo ne è uscito per la grazia di Cristo e la misericordia di Dio. Se con il suo perdono e la sua misericordia il Signore ha salvato lui, peccatore, vuol dire che vuole salvare ogni peccatore, senza distinzione. I peccatori sono chiamati alla conversione e alla salvezza, a condizione che si lascino riconciliare e salvare da Lui. Di quale salvezza parla Paolo? Di quella che avverrà nell’eternità? Certamente no, ma di quella salvezza che è passaggio dalle tenebre alla luce del vangelo, dal giudicare e condannare all’amore paziente e riconoscente, dall’inoperatività a una missionarietà evidente. A molti cristiani purtroppo manca proprio questo concetto di salvezza. Cristo è venuto ad operare con la sua morte e la sua risurrezione la salvezza nel tempo, in questo tempo, in questa vita, in questa storia, immettendo nella legge dell’odio la legge dell’amore, nella legge di morte la legge della vita, nella legge della falsità la legge della verità, nella legge della violenza la legge della mitezza e dell’umiltà del cuore.

Appare evidente che queste due esperienze (ma come non ricordare anche quella della Samaritana!) manifestano bene come si è educati dalla misericordia divina sperimentata, vissuta e coscientizzata, che diventa forza di conversione e testimonianza di una vita veramente riconciliata nel perdono di Dio, a vantaggio di un annuncio credibile e fecondo. Nelle vicende di Zaccheo e Paolo vi scorgiamo gli elementi essenziali di cosa la celebrazione del Sacramento della Penitenza debba provocare, almeno a mo’ di germe, nel cuore dei credenti penitenti. Così se gli itinerari di educazione alla fede devono concorrere a suscitare e generare il desiderio dell’amore misericordioso di Dio attraverso il perdono sacramentale, la celebrazione del Sacramento deve almeno provocare l’incontro con Cristo misericordioso, un incontro vivo e vero. Dall’incontro vissuto scaturisce l’inizio di una vita rinnovata e riconciliata; il Sacramento della Riconciliazione acquisisce un significato di fede esistenziale, poiché il segno della riconciliazione non è in dissonanza con la quotidianità del credente.

Ho scelto di condividere con voi queste due storie redente (Zaccheo e Paolo) perché mi sembra di poter intravedere in esse elementi utili e pertinenti, sia per la vita del confessore, come primo testimone del perdono e della misericordia ricevuti, sia per quella del penitente. Inoltre, pare ci consentano di individuare anche alcuni criteri che aiutano a ridare maggiore dignità, sguardo di fede e rilevanza alla celebrazione del Sacramento della Penitenza. Certo non bisogna dimenticare, come ho detto in precedenza, che la crisi della Penitenza, sia nei tempi recenti che oggi, è sempre conseguenza di una crisi di fede generale che genera la perdita del senso di Dio, dell’uomo e del peccato[11]. Così la crisi d’identità della Penitenza sembra quasi passare in secondo ordine rispetto all’indifferenza e alla non fede che circonda questo grande dono di misericordia e di amore. Manca, e questo lo constatiamo ogni giorno, la coscienza del peccato e delle sue conseguenze, come la rottura dell’Alleanza di amore con Dio, il rifiuto di sentirsi e pensarsi creature, figli, discepoli, padri, amati da Dio stesso. Spesso ci capita di ascoltare: ma perché devo confessarmi? Non ho ammazzato nessuno, né ho rubato, né bestemmiato. Come anche: Perché devo confessarmi che sono uscito con la mia ragazza? Se noi ci amiamo, non c’è peccato… i peccati sono ben altri. Questo modo di pensare esprime chiaramente la crisi del senso del peccato e del cammino secondo le esigenze del vangelo.

Come si può ovviare a queste difficoltà? Negli itinerari educativi della fede su cosa bisognerebbe puntare e nell’esperienza della celebrazione della Penitenza quali atteggiamenti evangelici riscoprire e rivivere?

 

2.3. Alla scuola della misericordia per una vita “educata” e riconciliata

Mi permetto, a questo punto, di delineare alcune piste concrete, che a me sembrano percorribili, su come bisognerebbe intendere i percorsi educativi della fede per la maturazione del senso vivo del perdono e della misericordia.

Parafrasando papa Francesco, la celebrazione del sacramento della penitenza, come la Chiesa, «deve essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo»[12]. Lo stile dell’accompagnamento e della prossimità, del prendere sul serio la vita dei credenti e orientare le loro scelte nell’orizzonte della fede al vangelo, valorizzando l’umano e il suo universo[13], in ordine al cammino spirituale della sua educazione, sembrano oramai punti di non ritorno. Partendo dalla verità della Rivelazione e dal suo significato umano, sperimentiamo che la fede e le sue espressioni, quali i Sacramenti della Chiesa, vengono interrogati in rapporto a ciò che sanno dire e esprimere del senso del vivere, della dignità della persona, della possibilità di fare esperienza di vita riconciliata nella speranza[14]. L’educazione alla fede, l’importanza dei Sacramenti, il significato della Penitenza, passano per il banco di prova del senso del vivere dei contemporanei, credenti e non. Spesso si assiste al fatto che la proposta educativa della fede non viene accolta per l’autorevolezza della proposta stessa. L’incontro con la fede, invece, dipende piuttosto sempre più dalle ragioni di speranza che l’amore misericordioso di Dio, che il messaggio cristiano sa offrire, incontra la persona e la sua vicenda concreta; dal fatto che la proposta educativa della fede e l’esperienza sacramentale vengono percepite come esperienze di perdono, conversione e rinascita che allargano e abitano il cuore delle persone e abilitano le stesse a vivere con dignità e verità la vita.

Ecco, allora, come l’esperienza educativa della fede può aiutare ad abitare il Sacramento della Penitenza del senso della fede: percorrere itinerari di educazione alla fede che abbiano come obiettivo certamente l’esperienza e la conoscenza della fede, ma che permettano anche di sperimentare la fede come risorsa di vera umanità. Da un punto di vista del metodo potremmo parlare di direttrici che a un certo punto si intersecano: ovvero pensare percorsi orientati all’incontro con Dio e che, al contempo, abilitano a percorrere, con Dio, i sentieri della vita, dell’umano. Per cui la vita e le sue vicende non sono semplicemente premessa o conseguenza di una maturazione della fede ma “luoghi” privilegiati in cui la fede e i Sacramenti possono essere compresi nel loro vero significato. In questa dinamica trova senso il Sacramento della Penitenza e l’espressione “misericordia di Dio”, altrimenti incomprensibili perché non incontrano lo smarrimento proprio del senso del vivere concreto. Queste indicazioni, lette alla luce dell’esperienza della Rivelazione, offrono ai confessori e ai penitenti spunti di riflessione per la propria vita spirituale: più ci si scopre figli e discepoli, bisognosi del perdono e della misericordia di Dio, meglio si vive la dimensione della paternità, della penitenza e della riconciliazione: Zaccheo e Paolo possono dirci molto in proposito.

 

2.4. Il Sacramento della Penitenza “luogo” di conversione e riconciliazione

Come sappiamo la Penitenza di per sé non fa parte dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Tuttavia, esso è essenziale alla vita cristiana proprio perché, a causa della concupiscenza e del peccato, la vita nuova ricevuta nei sacramenti dell’iniziazione si indebolisce o addirittura si perde[15]. A tal proposito non potevamo non fare riferimento al CCC, nel quale il Sacramento della Penitenza viene anche chiamato sacramento della conversione, perché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre, da cui ci si allontana con il peccato[16]. A questo significato il CCC ne aggiunge altri due, che dicono l’essenza e l’efficacia del Sacramento della Penitenza: quello, appunto, della Penitenza e quello della Riconciliazione. Il primo fa riferimento al cammino personale e comunitario di pentimento e conversione che il penitente deve intraprendere; il secondo fa riferimento all’annuncio di testimonianza, poiché «colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere all’invito del Signore che lo chiama a riconciliarsi con la propria storia e con i fratelli»[17].

Ancora papa Francesco nell’EG ricorda ai sacerdoti che il confessionale non deve essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore, che ci stimola a fare il bene possibile[18]. Per cui la celebrazione del Sacramento della Penitenza deve essere una scuola, un luogo di apprendistato della misericordia e della riconciliazione. Il confessore deve favorire le condizioni affinché il penitente s’incontri con lo sguardo amorevole di Gesù che legge, tocca e converte; il luogo in cui il penitente avverte le medesime sensazioni che avvertirono Zaccheo e Paolo. Così la celebrazione del Sacramento diventa luogo nel quale si scopre, e si vive sulla propria pelle, la grandezza dell’amore di Dio che scuote il nostro cuore dall’orrore e dal peso del peccato, lo rende cosciente e lo indirizza sempre più al vangelo. Questo è auspicabile che avvenga e può realmente verificarsi a patto che ci sia alle spalle un cammino di educazione alla fede, come già abbiamo detto, nel quale Gesù viene mostrato non solo presente ma operante nella nostra vita, come l’Amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità[19]. Di quell’amore misericordioso che accoglie e perdona, di cui si è sentito parlare, nella celebrazione del Sacramento si incontra, anzi ci si lascia incontrare e guardare, perché si sperimenti quanto il cuore di Dio è più grande del nostro peccato: il confessionale diventa quel Sicomoro sul quale ci si inerpica per attirare lo sguardo di Cristo che converte e rinnova.

Desidero terminare questo mio intervento riprendendo una bella espressione di Leone Magno, riportata nell’esortazione Reconciliatio e Paenitentia di San Giovanni Paolo II, e che ben possiamo adattare al nostro tema: Tutto quello che il Figlio di Dio ha fatto e ha insegnato per la riconciliazione del mondo, non lo conosciamo soltanto dalla storia delle sue azioni passate, ma lo sentiamo anche nell'efficacia di ciò che egli compie al presente. Ogni penitente uscito dal confessionale dovrebbe, con Paolo, annunciare e recordare, rimettere nel cuore proprio e dei fratelli, questa grande verità.

 

NOTE

[1] Conferenza Episcopale Italiana, Presentazione di Educare alla vita buona del vangeloOrientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 (4 ottobre 2010). Nella citazione ho evidenziato in corsivo quei termini chiave che rappresentano temi significativi per lo sviluppo della Relazione. Da ora Orientamenti.

[2] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), 160. Da ora in poi EG.

[3] EG 24. 51. 169.

[4] Cf. C. Nanni, «Educazione», in C. Nanni (a cura di), Dizionario di Scienze dell’Educazione, Elledici, Leumann (TO) 1997, 340-341.

[5] Paolo VI, Discorso per il 40° anniversario del Movimento Aspiranti della GIAC (21 marzo 1964).

[6] Orientamenti, 40; UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE, La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (4 giugno 2006), 6.

[7] Cf. F. Placida, La catechesi missionaria e la Nuova evangelizzazione nell’Europa post-cristiana, Cittadella, Assisi 2013, 129.

[8] EG 169.

[9] Orientamenti, 53.

[10] Cf. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Dives in misericordia (30 novembre 1980), 5-6. Da ora DM; Id., Esort. Apost.Reconciliatio e paenitentia (2 dicembre 1984), 5-7. Da ora RP.

[11] Cf. RP 18; Conferenza Episcopale Italiana, Evangelizzazione e Sacramento della Penitenza (12 luglio 1974), 13-14.

[12] EG 114.

[13] Cf. EG 169-171.

[14] Cf. S. Currò, Perché la Parola riprenda suono. Considerazioni inattuali di catechetica, Elledici, Torino 2014, 51.

[15] Catechismo della Chiesa Cattolica, LEV, Città del Vaticano 1997, 1420. Da ora CCC.

[16] Cf. CCC 1423.

[17] CCC 1424.

[18] EG 44.

[19] DM 3.

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