"IL DONO DELLE INDULGENZE E LA GIOIA DEL PERDONO" - INTERVENTO AL XVIII CONGRESSO INTERNAZIONALE DELL'ISTITUTO INTERNAZIONALE DI RICERCA SUL VOLTO DI CRISTO, ROMA 27 SETTEMBRE 2014.

Introduzione

Può sembrare strano, anche a molti buoni cattolici, sentire ancora parlare di indulgenze. Come sappiamo, esse hanno segnato la vita quotidiana dei fedeli per molti secoli e tuttavia, in anni più recenti, sono apparse meno praticate e ricercate, dando l’impressione, per così dire, di “segnare il passo”. I motivi di questa disaffezione possono essere molteplici: di sicuro non risponde ad una sensibilità autenticamente evangelica una certa mentalità “contabile” che la passata disciplina sembrava incoraggiare, concependo appunto il dono delle indulgenze come una sorta di automatismo slegato da quell’alveo vitale nel quale esse invece sorsero, e cioè l’impegno quotidiano di conversione e di vita cristiana. Eppure lo sforzo di papa Paolo VI nel rinnovare l’intera materia consistette proprio nel non trascurare o tralasciare questa tradizione, ma piuttosto nel rinvigorirla togliendo quanto poteva appannare il suo significato più profondo e renderlo oscuro o ambiguo. Sulla stessa linea si mossero anche i Pontefici successivi nel concedere le indulgenze, durante i Giubilei, universali o particolari, ovvero estendendo e dilatando la disciplina precedente. Come è ben noto, con la Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina del 1° gennaio 1967, papa Paolo VI aggiornò completamente l’intera materia per adeguarla a quel “rinnovamento” chiesto dal Concilio Ecumenico Vaticano II, abolendo tra l’altro la tradizionale misura in giorni, mesi ed anni dell’Indulgenza parziale, che poteva essere fonte di equivoci soprattutto tra le persone più semplici, stabilendo in suo luogo che il dono della Chiesa (cioè l’Indulgenza) è proporzionato al valore espiativo dell’azione compiuta dal fedele e sopprimendo anche la distinzione tra «indulgenze personali», «reali» e «locali», perché più chiaramente emergesse il ruolo dell’impegno personale del penitente - anche quando sia connesso ad un luogo pio o ad un oggetto di devozione - e quindi favorendo maggiormente nei fedeli il senso della partecipazione alla Comunione dei Santi, il fervore della carità (specialmente verso i fedeli defunti), lo spirito di preghiera, di rinascita e di sacrificio [1]. In seguito, San Giovanni Paolo II emanò nuove concessioni, alcune delle quali indicate nella Bolla d’indizione [2] del grande Giubileo del 2000 ed altre di carattere generale sulle quali ritorneremo. E così la Penitenzieria Apostolica, con decreto del 16 luglio 1999 [3], promulgò la quarta edizione dell’Enchiridion indulgentiarum. Normae et concessiones, già ristampata diverse volte e adesso integrata anche da concessioni successive. L’ultima edizione risale al gennaio 2008.

Tutte le norme riguardanti la disciplina delle Indulgenze, gli atti di pietà e le preghiere indulgenziati dalla Chiesa, unitamente all’accennata Costituzione Apostolica lndulgentiarum doctrina, sono quindi raccolti nell’Enchiridion indulgentiarum, tradotto in italiano, spagnolo, portoghese, inglese, tedesco ed olandese, a cura delle rispettive Conferenze Episcopali, e pubblicato previa autorizzazione della Penitenzieria Apostolica.  La versione italiana dell’Enchirdion si intitola: Manuale delle Indulgenze. Norme e concessioni.

 

1. Tra storia e pastorale

Come sappiamo, l’indulgenza nasce nell’antica disciplina penitenziale della Chiesa, quando l’assoluzione vera e propria veniva data dal Vescovo ai pubblici penitenti al termine di un lungo cammino di contrizione. Lo scopo consisteva appunto nel rendere più corto questo cammino, per molti versi assai arduo e incerto, e ciò spiega la menzione di anni, mesi e giorni di indulgenza. Si trattava effettivamente di tempi che venivano rimessi per poter giungere alla celebrazione della riconciliazione.

Modificandosi la disciplina penitenziale, prevalendo la confessione privata su quella pubblica, venendo meno l’antica penitenza “tariffata” prevista dai libri penitenziali e, infine, concedendosi immediatamente l’assoluzione (prima, cioè, che la “penitenza” vera e propria fosse eseguita), le indulgenze non scomparvero, ma vennero concepite in un modo più profondo. Si cominciò a capire che esse comportavano non la remissione della pena temporale prevista dagli antichi canoni, ma la pena temporale che ogni peccato in se stesso implica di fronte alla divina Giustizia, da scontarsi in terra, con la penitenza e le opere buone, oppure davanti a Dio, in quello stato che chiamiamo abitualmente “purgatorio”, sul quale autorevoli storici hanno peraltro scritto saggi molto interessanti. E in questo senso le indulgenze hanno accompagnato la pietà di tutto il popolo cristiano, talvolta anche scivolando in abusi e ingenuità: il Concilio di Trento ne ribadì l’uso e la legittimità e di qui il loro passaggio fino ai nostri giorni, e precisamente ai cambiamenti operati nei recenti anni del postconcilio, ai quali abbiamo già accennato.

È ora opportuno scendere nei dettagli della normativa, in un’esposizione che non vuole essere in primo luogo giuridica o teologica, ma prevalentemente pastorale e spirituale, connotazioni del resto proprie della materia stessa che trattiamo. Si vedrà allora come anche in un dibattito come il nostro, sintetizzato nel titolo “Il Volto di Cristo nelle opere di misericordia”, il discorso sulle indulgenze sia pienamente significativo e assolutamente consono.

Basterebbe pensare alle concessioni generali di indulgenze emanate da Paolo VI. Come abbiamo detto, esse vanno a sostituire l’intera materia, ormai molto farraginosa e ridotta ad elenchi interminabili di opere di pietà indulgenziate in giorni, mesi ed anni, con un’indulgenza parziale – tanto più ampia quanto maggiore è il fervore del fedele – concessa in tre ambiti, o momenti essenziali, della vita cristiana. Citiamo: «Si concede l’indulgenza parziale al fedele che, nel compiere i suoi doveri e nel sopportare le avversità della vita, innalza con umile fiducia l’animo a Dio, aggiungendo, anche solo mentalmente, una pia invocazione» [4]. Con ogni evidenza, la Chiesa intende così incoraggiare i fedeli alla preghiera costante e fiduciosa, all’offerta delle proprie fatiche e della propria persona a Cristo, configurandosi a Lui orante, offerente, obbediente alla volontà del Padre. Ma non vi è chi non veda come questo significhi avere davanti a sé il Volto di Cristo: con la preghiera costante e fiduciosa oltrepassiamo, per così dire, le nubi della vita, tanto faticosa e a volte tragica, per attingere luce e forza a quel Volto che è l’origine stessa della luce e della forza. «Illumina su di noi il tuo Volto, o Signore», dice il salmista [5] – invocazione ripresa perfino nella medaglietta del Santo Volto, così provvidamente diffusa – e in fondo si può dire che la succitata concessione si nutra proprio di questo. Siamo invitati a vivere di fronte al Volto di Dio, alla Sua presenza, in una familiarità e quotidiana intimità con il nostro Salvatore: la nostra preghiera, del resto, non è altro che una risposta alla luce di quel Volto, perché «se nascondi il tuo volto, vengono meno, muoiono e ritornano nella loro polvere» [6], come dice il Salmo, tutti i viventi. E «alla tua luce, Signore, noi vedremo la luce», recita una bella antifona della Liturgia delle Ore.

Una seconda concessione di carattere generale recita: «Si concede l’indulgenza parziale al fedele che, con spirito di fede e con animo misericordioso, pone se stesso o i suoi beni a servizio dei fratelli che si trovano in necessità» [7]. Qui il Volto di Gesù è di fronte a noi incarnato in quelli che potrebbero essere a buon diritto chiamati i suoi legittimi rappresentanti, in coloro che ha tanto amato fino a dire che qualunque cosa avremo fatta nei loro riguardi, Egli la riterrà come fatta a sé: i poveri. Ogni tipo di povertà rispecchia il Volto di Cristo, quella spirituale non meno di quella materiale: la mancanza di mezzi, infatti, non dispensa nessuno dall’osservanza del grande precetto della carità. L’elemosina è una delle opere più lodate dalla Scrittura: essa non consiste nel mettere a disposizione soltanto il portafoglio ma anche e soprattutto se stessi, tanto da potersi dire che dove non c’è reale dono di sé, non c’è nemmeno elemosina, per quanto consistenti possano essere le offerte (valga su tutti il noto esempio dell’obolo della vedova). Si tratta dunque di mettere a disposizione il proprio tempo, la propria capacità di accogliere, la propria pazienza, e non solo il proprio denaro. Possiamo ringraziare Iddio, perché ai nostri tempi molti sono coloro che si impegnano in questo senso, nelle varie forme di volontariato e di assistenza che si sono moltiplicate: del resto anche in passato i fedeli, dai più umili fino ad arrivare a principi e regine, servivano i poveri negli ospedali e nelle mense, proprio in espiazione delle loro colpe e conforto di Cristo stesso.

La terza concessione generale afferma: «Si concede l’indulgenza parziale al fedele che, in spirito di penitenza, si priva spontaneamente e con il suo sacrificio di qualche cosa lecita» [8]. Privarsi di qualche cosa e porre se stesso e i propri beni al servizio del prossimo sono le facce di una stessa medaglia, che è la carità. Il valore del digiuno o dell’astinenza (dalle carni o da altro: televisione, cinema o qualsivoglia tipo di svago) non sta infatti – secondo l’insegnamento di San Gregorio Magno – nella mortificazione in se stessa, ma nella carità, della quale la mortificazione è fine, e quindi causa. In tal modo, il fedele è continuamente spronato a fare penitenza, ma non con uno spirito di paura o di tristezza bensì, al contrario, nella gioia del dono offerto. «Noi amiamo perché Dio ci ha amato per primo» [9], insegna San Giovanni, e perciò possiamo ben dire che questo tipo di azioni nasce dalla contemplazione del Volto di Cristo, dall’esperienza del Suo amore per me, e dunque dal desiderio di rispondere all’amore con altro amore, come insegnano i Santi: dal Volto di Cristo di fronte a me, contemplato nel silenzio e nell’orazione, al Volto di Cristo davanti a me nei suoi poveri, per i quali io posso scegliere quel che Cristo per sé ha scelto e desiderato, cioè condividere la mia vita e i miei beni. L’inevitabile sacrificio qui implicato non trova la sua fonte in una specie di “stoicismo cristiano”, nel dimostrare a se stessi che si può vivere con meno di quello al quale siamo normalmente abituati, e nemmeno in un malsano disprezzo dei piaceri della vita, ma piuttosto nella gioia di essere amati, che attiva in noi la dinamica della gratuità soprannaturale, ossia della carità, per la quale, avendo ricevuto misericordia, doniamo noi stessi misericordia.

Concludiamo con la quarta concessione di ordine generale, opportunamente introdotta nel 1999 con la nuova edizione dell’Enchiridion: «Si concede l’indulgenza parziale al fedele che, in particolari circostanze della vita quotidiana, rende spontaneamente aperta testimonianza di fede davanti agli altri» [10]. Qui siamo tutti invitati ad essere noi stessi il Volto di Cristo che risplende per gli altri, la città sul monte che non si può non vedere: Cristo e il Suo Volto santo stanno davanti a noi nella preghiera, di fronte a noi nella carità, in noi stessi, nella carità della testimonianza. Nulla di sconveniente, di indiscreto o di arrogante in questo; papa Francesco ama ricordarci un’espressione che già fu di Francesco d’Assisi: «Annunciate il Cristo in tutti i modi: se necessario, anche con le parole». La testimonianza della vita cristiana in fondo non è che trasparenza a Lui: chi vive in simbiosi con Lui nella preghiera e negli esercizi di devozione, chi viene così afferrato dal Suo Spirito di carità, non potrà che essere come uno specchio nel quale si riflette una luce che non è sua. La testimonianza di Cristo è tanto più vera quanto più implica uno scomparire della nostra persona; non è testimonianza di noi stessi, o di un nostro modo di pensare, fosse pure religioso; non implica un essere innalzati davanti ad un pubblico, ma al contrario un innalzare Lui, poiché siamo noi che serviamo a Lui, e non Lui che serve a noi. Ed è pur vero che un’opera apostolica estremamente importante è anche la testimonianza diretta di Lui e della Sua parola, in un mondo che pare averla dimenticata e in circostanze nelle quali il rispetto umano può frenare il nostro slancio.

 

2. Considerazioni di ordine pastorale

È dunque evidente che l’indulgenza, così come viene intesa dalla Chiesa, non è affatto una specie di meccanismo, o di automatismo, avulso dalla vita cristiana, ma è vita cristiana essa stessa, ne è espressione e culmine, e perciò si può ben dire che quanto conduce al fervore di carità e preghiere, oppure ne è frutto, è in qualche modo arricchito di un’indulgenza. Le stesse concessioni particolari lo testimoniano: così – per ricordarne solo alcune – la concessione dell’indulgenza plenaria per la pia meditazione della Scrittura, protratta per almeno mezz’ora, ovvero per l’adorazione al santissimo Sacramento, per i pii esercizi della via crucis e del rosario mariano [11]. È palese come l’intento della madre Chiesa sia precisamente quello di condurre il fedele a una sempre più grande intimità con il suo Signore, dalla quale non potranno non scaturire atti sempre più generosi di disponibilità verso il prossimo e di vera carità soprannaturale.

Si potrebbe dire che il dono dell’indulgenza è un “supplemento di misericordia” del Padre di ogni bontà, ricevuto attraverso la mediazione della Chiesa. Infatti, poiché abbiamo ricevuto misericordia, diventiamo misericordiosi, e la carità da noi ricevuta si effonde nei nostri cuori, rendendoli partecipi della vita stessa di Dio. In questo senso, la pena del peccato – e cioè quei condizionamenti, quelle stanchezze e infiacchimenti della volontà e dell’intelletto, quei vincoli psicologici e anche fisici che il peccato comporta (qualsiasi peccato, perché è vero che esso porta in sé la propria pena, come un veleno i principi tossici) – viene alleviata e infine assorbita dalla vita nuova della Grazia, che altro non è che l’uomo nuovo, Cristo Signore, il quale prende possesso abituale delle nostre facoltà e di tutta la nostra persona, fino a quando possiamo dire «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» [12]. Vediamo allora come sia possibile, e anzi doverosa, una comprensione del concetto di “pena” del peccato in senso meno giuridico e più esistenziale-personale. In altri termini, il disordine che arreca ogni peccato, in quanto male e cioè privazione di bene, è una ferita a sé e al corpo mistico di Cristo: la Chiesa. La fede e la carità, che si esprimono negli atti indulgenziati, guariscono e riparano i nostri cuori – e la Chiesa stessa – da tali ferite, liberandoli dai lacci e dai vincoli nei quali, per il nostro stesso libero volere, erano rimasti impigliati.

In questo senso, le indulgenze non sono concepibili senza un’intensa vita sacramentale, della quale sono come una corona. I sacramenti, e in particolare l’Eucaristia e la Riconciliazione, sono i canali ordinari attraverso i quali otteniamo la Grazia, e perciò condizioni per “acquistare” – così si sarebbe detto un tempo, o anche “lucrare”: termini che oggi suonano del tutto inadeguati – un’indulgenza plenaria. Essi non sono di per se stessi indulgenziati – e quando lo sono, come nel caso della partecipazione ad una prima Messa o ad una prima Comunione, ovvero per il rinnovo delle promesse battesimali nell’anniversario del proprio Battesimo oppure nella solenne Veglia pasquale [13], lo sono per la circostanza nella quale siamo invitati a pregare per i neosacerdoti o per i nostri figlioli, e a ringraziare Iddio per i sacramenti stessi – perché significano ben di più, l’incorporazione a Cristo e alla Chiesa, fonte e origine della remissione di ogni pena dovuta per i peccati. Dunque i sacramenti hanno maggiore importanza delle indulgenze: ma queste ultime ad essi ci conducono, almeno da un punto di vista pratico o pastorale, ferma restando la loro sussistenza autonoma dal punto di vista teologico ed ontologico. E così basti ricordare come è concessa l’indulgenza parziale al fedele che si prepari devotamente alla confessione con l’esame di coscienza o un atto di contrizione, o che piamente ringrazi Iddio dell’Eucaristia offerta e ricevuta [14].

 

3. Considerazioni ulteriori

Vogliamo ora riflettere su di un aspetto invero poco sottolineato, non tanto per presentarne semplicemente il contenuto normativo, quanto piuttosto per svolgere alcune considerazioni che meglio ci aiutino a comprendere il senso ed il valore spirituale e pastorale delle indulgenze.

Come è noto, per ricevere il dono – e usiamo specificamente l’espressione “dono” e non “acquisto”, proprio per rimarcare quanto abbiamo in precedenza trattato – dell’indulgenza plenaria, è necessario eseguire l’opera indulgenziata e adempiere tre condizioni:  Confessione Sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice [15], con la quale si esprime al tempo stesso il filiale amore di ogni cattolico verso il successore di Pietro e la sorgente stessa dell’indulgenza. Il Santo Padre, quale Vicario di Cristo e detentore delle chiavi di Pietro, concede il dono dell’indulgenza ricorrendo alla plenitudo potestatis, il potere altissimo e squisitamente spirituale che Cristo ha trasmesso alla sua Chiesa[16]. Si richiede inoltre – questo va tenuto ben presente – che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale. Se manca la piena disposizione o non sono poste le predette tre condizioni, l’indulgenza è solamente parziale… [17]. Da questa ultima affermazione, si evince che la condizione necessaria e imprescindibile per il dono dell’indulgenza plenaria è il distacco completo e pieno dal peccato, anche veniale; tale condizione non è invece richiesta per l’indulgenza parziale. Che cosa significa questo, che cosa ci dice sul significato e sul valore dell’indulgenza, e quali ripercussioni ha nella pastorale e nell’accompagnamento spirituale dei fedeli?

Direi innanzi tutto che da qui si vede con chiarezza come l’indulgenza sia un dono e non un acquisto: il distacco dal peccato, infatti, non può essere se non opera della Grazia. Dio stesso, che ci ha amato per primo, libera l’uomo dai lacci e dai condizionamenti che l’uso disordinato della propria libertà ha comportato. Questo ci conferma nella nostra valutazione della “pena” del peccato non come pena temporale, che di fatto non esiste più nella forma dell’antica penitenza, e nemmeno come conseguenza di un ordine teologico-morale astratto, una specie di “riparazione” in senso geometrico, come se a un eccesso si potesse rimediare con un altro eccesso in senso opposto per ristabilire una specie di equilibrio o di uguaglianza; ma soprattutto ci conferma nella comprensione della pena del peccato in senso esistenziale-personale, come del resto la più elementare psicologia insegna. In parole povere, possiamo dire che l’uso delle indulgenze ci indica che bisogna imparare ad amare – tutto qui – imparare ad amare Dio e il prossimo. Questo non è spontaneo, sebbene non ci sia estraneo; è frutto della Grazia, ma operato anche da una coscienza e da una libertà individuale consapevole e volontaria che con essa cooperi; sviluppandosi come un habitus, o abitudine virtuosa, trova in noi inevitabilmente degli attriti, ma  cresce anche fino a compiersi e a fiorire appieno.

In tale maniera la sequela di Gesù, attraverso la fede e le opere di misericordia, cresce e si sviluppa, rinvigorita dai Sacramenti e sostenuta dalla comunione dei Santi. Ecco qui il famoso “tesoro” della Chiesa, i meriti di tutti i Santi: esso non è come un forziere o il caveau di una banca, pieno di soldi e di pietre preziose, ma è l’azione efficace del bene, che per natura è diffusivum sui [18], di modo che il “sì” di Gesù Cristo a Dio Padre, offerto nello Spirito Santo, diventa nostro poiché Lui stesso vive in noi e in noi fluisce. E anche l’«Eccomi» della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi sostiene la nostra libertà, la sorregge, la guarisce, la libera e ci rende veramente loro concittadini e familiari. Così nella vita quotidiana, e soprattutto all’inizio della vita spirituale, le indulgenze parziali operano in noi il loro dono, ciò che è a loro proprio, erodendo lo spazio che il male ha ancora nelle nostre anime e nella nostra stessa persona, e agendo progressivamente, come delle medicine prese con costanza, fino alla piena guarigione. L’anima così guarita giungerà alla vera liberazione, alla completa rigenerazione, all’esperienza piena della misericordia di Dio; in altri termini vivrà non solo nel rito, ma nella propria vita, l’esperienza vivificante della Pasqua del Signore. In questo senso, tra l’indulgenza plenaria e quella parziale vi è una differenza come tra il frutto e il fiore: scaturiscono entrambe dalla carità di Cristo, ma l’una ne è in qualche modo l’anticipo e l’altra il compimento. Certo, ontologicamente non vi è differenza, in quanto si tratta sempre della remissione della pena temporale del peccato; ma tra il “meno” ed il “tutto” non vi è solo una differenza quantitativa. Del resto, nelle realtà spirituali la quantità è una categoria piuttosto difficile da usarsi.

 

4. La Penitenzieria Apostolica e le Indulgenze

Alla Penitenzieria Apostolica è affidato tutto ciò che concerne la concessione e l’uso delle Indulgenze, salva la competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede su ciò che attiene la dottrina dogmatica circa le Indulgenze stesse [19].

Come si è detto nella introduzione alla presente esposizione, tutte le norme riguardanti la disciplina delle Indulgenze, gli atti di pietà e le preghiere indulgenziati dalla Chiesa, unitamente alla Costituzione Apostolica lndulgentiarum doctrina, sono raccolti nell’Enchiridion indulgentiarum, testo ufficiale della Chiesa.

In detto Enchiridion, troviamo la seguente definizione di Indulgenza:

“L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi” [20].

L’indulgenza è distinta in plenaria e parziale. “L’indulgenza è parziale o plenaria, secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati” [21]. L’indulgenza plenaria, quindi, rimette tutta la pena temporale dovuta per i peccati già cancellati quanto alla colpa e alla pena eterna; parziale invece è quella che rimette solo una parte di tale pena.

Si tenga presente che per essere capaci di acquisire le indulgenze, è necessario essere battezzatinon essere colpiti da scomunica ed essere in stato di grazia, almeno al termine delle opere prescritte. Inoltre, il soggetto capace deve avere almeno l’intenzione generale di acquistarle, e adempiere le opere prescritte nel tempo stabilito e nel modo dovuto, secondo il tenore della concessione [22]. “Ogni fedele può lucrare per se stesso le indulgenze sia plenarie che parziali, ovvero applicarle ai defunti a modo di suffragio” [23].

Vescovi diocesani o eparchiali - e le Autorità ecclesiastiche ad essi equiparate dal diritto, anche se non insigniti della dignità episcopale, dall’inizio del loro ufficio pastorale - possono concedere l’indulgenza parziale nel proprio territorio, e anche fuori di esso, in favore dei loro sudditi [24]. Possono, inoltre “impartire nella propria eparchia o diocesi la Benedizione papale con annessa l’indulgenza plenaria, usando la prescritta formula, tre volte l’anno, in solennità o feste di loro scelta, anche se assistono soltanto alla Messa. Questa benedizione viene impartita al termine della Messa al posto della benedizione consueta, a norma del rispettivo Cerimoniale dei Vescovi” [25].

Per quanto riguarda invece le concessioni di Indulgenza plenaria, occorre rivolgersi alla Penitenzieria Apostolica. Naturalmente il Romano Pontefice, al quale è stata affidata da Cristo Signore la distribuzione di tutto il tesoro spirituale della Chiesa (cfr. can. 912 CIC 1917), ha un potere assoluto sulle Indulgenze, in quanto ha la suprema giurisdizione sulla Chiesa universale [26].

Riguardo alle richieste di Indulgenze Plenarie, esse pervengono alla Penitenzieria dai vari Paesi del mondo (nota bene: una buona parte delle richieste proviene dalla Germania, dove le Indulgenze furono prese a pretesto per l’inizio della riforma luterana e da Paesi dell’Estremo Oriente, ad es. dal Vietnam, dove la Chiesa ha sofferto molto e ancora soffre per la persecuzione e la gente dimostra una fede fervente e coraggiosa).

Oltre alle concessioni del summenzionato Enchiridion indulgentiarum, che concernono tutti i fedeli, la Penitenzieria provvede a concessioni in favore di gruppi particolari di fedeli. Infatti Vescovi, Superiori religiosi, parroci, rettori di santuari, moderatori di pie associazioni o movimenti sono soliti implorare dal Santo Padre il dono delle Indulgenze, spesso tramite i buoni uffici delle Rappresentanze Pontificie.

Le occasioni per chiedere l’Indulgenza plenaria sono tante: una celebrazione giubilare  (a livello nazionale, eparchiale, diocesano o parrocchiale); l’erezione di una Chiesa particolare (ad esempio: il 25°, il 50° o il primo Centenario di una diocesi) o di un Istituto di vita consacrata o di vita apostolica, di una parrocchia, di un celebre santuario (diocesano, nazionale o internazionale), di una provincia o casa religiosa, di una pia associazione; la dedicazione di un luogo sacro; la benedizione di Scale o Porte sante; l’incoronazione dell’immagine della Beata Vergine; uno speciale tempo di preghiera e di penitenza (Anno Missionario o Mariano, Novena, Triduo o giornata); un pellegrinaggio comunitario; l’Indulgenza della Porziuncula o la festa titolare per chiese non parrocchiali; ricorrenze di nascite su questa terra e nascite al cielo di celebri Santi Protettori, ecc.

La Penitenzieria risponde sempre, nel rispetto dell’attuale prassi, a tutte le domande, poiché l’uso secondo il sensus Ecclesiae delle Indulgenze stimola i fedeli al fervore della carità, quindi alla degna ricezione dei sacramenti e alle opere di misericordia e penitenza. Inoltre è un mirabile segno di comunione ecclesiale. Ma lo stesso motivo del rigoroso rispetto della vigente normativa, non permette di venire incontro alle richieste di facoltà per impartire la Benedizione Papale con annessa Indulgenza plenaria quando vengano implorate da presbiteri; non solo perché la Benedizione Papale è ormai riservata all’ordine episcopale, ma anche perché, di fatto, le celebrazioni per le quali si chiede di impartirla – essenzialmente per i sacerdoti novelli, a conclusione della Prima Messa – sono già arricchite dell’Indulgenza plenaria ex lege.

Poiché la Penitenzieria ha la competenza esclusiva per le concessioni e l’uso delle Indulgenze, le singole richieste devono essere trasmesse direttamente ad Essa, anche quelle provenienti dalle Chiese Orientali e dai Paesi di Missioni.

Quando una supplica non è presentata personalmente dall’Ordinario diocesano o eparchiale o dal Superiore religioso competente ad uso esclusivo dei suoi sudditi, si chiede all’oratore che ci sia comunque la necessaria commendatiziadell’Eparca o Vescovo locale.  La Penitenzieria, in ogni caso, gradisce il parere del Rappresentante Pontificio in proposito. Pertanto, è auspicabile che le richieste vengano presentate tramite le Rappresentanze Pontificie. Singoli Vescovi possono comunque liberamente rivolgersi direttamente alla Penitenzieria.

Il Rescritto della Penitenzieria contiene una prima parte, quella espositiva, breve ma densa di contenuto spirituale e storico, dignitosa e solenne, e una seconda parte, quella dispositiva, che, a seconda dei casi, limita la concessione al solo tempo della ricorrenza o ad un periodo di alcuni anni (ad esempio «ad septennium»), oppure ne stabilisce la durata perpetua («in perpetuum»).

 

Conclusione

Ci sia lecito concludere ricordando che, sebbene l’uso delle indulgenze sia stato uno dei motivi che disgraziatamente ha contribuito alle divisioni tra i cristiani, l’attenzione ecumenica è un criterio importante, e anche una novità, della attuale disciplina. Così sono state indulgenziate anche diverse preghiere della tradizione orientale [27], mentre la centralità della parola di Dio nell’orazione mentale, tanto sottolineata anche dalle più recenti concessioni, è particolarmente sentita nelle comunità ecclesiali nate dalle Riforme. Questo, insieme a una considerazione meno giuridica e più esistenziale del cammino di penitenza e conversione di ognuno, potrebbe essere un buon punto di incontro.

La pratica pastorale delle indulgenze può avvicinarci alla devozione al Volto di Cristo, alla centralità della nostra esperienza spirituale, nutrita dall’ascolto e dalla preghiera e testimoniata dalla carità. L’esperienza della misericordia fiorisce in noi come misericordia: «Noi amiamo, perché Egli ci ha amato per primo» [28], afferma San Giovanni Evangelista. Questo è il principio e il fondamento di ogni azione della Chiesa, di ogni sua cura pastorale, del suo diritto come di ogni riflessione teologica.

Dio non può fare a meno di amare, perché "Dio è amore". Benedetto XVI, nella Enciclica "Deus Caritas Est", ha messo in risalto il fatto che Dio è sempre amore, ma non sempre noi imitiamo il Suo amore. “Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro” [29].

Nel rapporto tra l’uomo e Dio, dunque, l’iniziativa è sempre di Dio che ci offre il perdono e ci chiede di accettare questo dono per farlo fruttificare nella nostra vita, questo perdono si chiama "giustificazione", cioè la remissione delle "pene temporali". Ma l’uomo non diventa perfetto, è come se avesse "nostalgia del peccato"; infatti continua ad avere tendenze disordinate e così rimane sempre qualche "resto di colpa da scontare". Ecco perché tutti gli uomini hanno bisogno della misericordia di Dio. E’ necessario allora – come si è già detto prima – per la piena remissione e riparazione dei peccati ristabilire l’amicizia con Dio con la conversione del cuore e la riparazione delle offese arrecate. Il cristiano inoltre non è un’isola come diceva Lutero, e Dio non ha voluto salvarci con un rapporto diretto con Lui, ma per mezzo della Chiesa. Nel corso della storia la Chiesa ha indicato nuove vie per offrire a tutti il dono del perdono, dato da Dio per mezzo di Gesù, e così portò all’uso delle indulgenze che hanno lo scopo di "aiutare" sia i vivi che i morti. Esse però non sono elargite come un toccasana, ma è necessario avere una sincera conversione che allontani dal peccato e ci faccia amare sinceramente Dio.

La Chiesa, facendo risuonare nel tempo l’annuncio di perdono e di riconciliazione proclamato da Gesù, ci ricorda che il nostro cammino cristiano è un cammino di conversione e di penitenza, che deve condurre tutti i cristiani con il loro carico di peccati ad ottenere la misericordia di Dio, il perdono delle colpe, la purificazione del male che è in loro, la "remissione delle pene temporali" mediante il dono dell’indulgenza, il compimento di opere di penitenza e di carità così da crescere nell’amore di Dio e dei fratelli. Il nucleo fondamentale e qualificante è "la conversione", così come affermato da San Giovanni Paolo II nella Bolla di indizione dell’Anno Santo del 2000 [30]. Questo documento pontificio intende l'indulgenza come "manifestazione della pienezza della misericordia del Padre, che a tutti viene incontro nel suo amore, espresso in primo luogo nel perdono delle colpe". Ora "è precisamente attraverso il ministero della Chiesa che Dio espande nel mondo la sua misericordia mediante quel prezioso dono che, con nome antichissimo, è chiamato "indulgenza". In senso stretto l'indulgenza presuppone "l'avvenuta riconciliazione con Dio e riguarda le conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi". Essa riguarda quindi un ambito ben delimitato nel quale si manifesta e opera "il dono totale della misericordia di Dio". "Con l'indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa" [31].

La pienezza della misericordia del Padre, che ha mandato suo figlio Gesù morto e Risorto per noi, offre ai credenti la possibilità di sperimentare la gioia del perdono portato fino alle sue estreme conseguenze, come segno ultimo dell’amore del Padre nei confronti dei peccatori. In quest’amore nasce e si sviluppa la vita cristiana.

Concludo questa mia esposizione e spero di essere riuscito, in qualche misura, a far conoscere più da vicino la problematica che mi è stata richiesta dall’Em.mo Signor Cardinale Fiorenzo Angelini, intrepido Apostolo del Volto Santo di Gesù, ricordando nuovamente di non avere paura a rivolgervi, ogni volta che lo riteniate opportuno o necessario, alla Penitenzieria Apostolica - Tribunale di misericordia e di pietà - che svolge un servizio esclusivamente spirituale, una funzione immediatamente collegata con la finalità della Chiesa, che è la salus animarum.  Il dono dell’indulgenza richiama all’amore che la Chiesa ha per ogni credente, si fa carico del peccato dei suoi figli; con il dono dell’indulgenza la Chiesa educa il credente a vivere e a crescere nell’amore per resistere al peccato e all’egoismo, rafforzando la vita di fede e di speranza. Chi riceve questo dono sperimenta la gioia della riconciliazione, incontrando l’Amore che perdona e trasforma.

 

NOTE

[1] Cfr. Cost. Apost. Indulgentiarum doctrina, 1 ian. 1967, in AAS 59 (1967) 5-24.

[2] Bolla Incarnationis mysterium, 29 nov. 1998, in AAS 91/II (1999) 29-147.

[3] Decreto Jesu humani generis, 16 iul. 1999, in AAS 92 (2000) 301-302.

[4] Manuale delle Indulgenze, Libreria Editrice Vaticana, 2008, p. 35.

[5] Cfr. Sal 67, 1.

[6] Sal 103, 29.

[7] Manuale delle Indulgenze, p. 38.

[8] Manuale delle Indulgenze, p. 41.

[9] 1 Gv 4, 19.

[10] Manuale delle Indulgenze,  p. 44.

[11] Cfr. Manuale delle Indulgenze, nn. 7, 13, 17, 30.

[12] Gal 2, 20.

[13] Manuale delle Indulgenze, nn. 8 §1 ,27 e 28 §1.

[14] Manuale delle Indulgenze, nn. 8 § 2 e 9.

[15] PAOLO VI, Cost. Apost. Indulgentiarum doctrina, Parte II, Norma 7.

[16] Cfr. K. NYKIEL, La natura della potestà della Chiesa nella concessione delle Indulgenze, Roma 2002, pp. 112 e 114; U. NAVARRETE, <<Unità della “Potestas Sacra” e molteplicità dei “Munera Christie et Ecclesiae”>>, in Schriften ausKanonistik und Staatskirchenrecht, Fs. W. Schulz, Frankfurt a.M. 1999, p. 587.

[17] PAOLO VI, Cost. Apost. Indulgentiarum doctrina, Norma 7.

[18] Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, I, q. 5 a. 4, ad 2.

[19] GIOVANNI PAOLO II, Const. Apost. Pastor Bonus, 28 iun.1988, Art. 120, in AAS 81 (1989), 890.

[20] Manuale delle Indulgenze, Normae, n. 1;  cfr. can. 992 CIC.

[21] Ibid., Normae, n. 2; cfr. can. 993 CIC.

[22] Manuale delle Indulgenze, Normae, n. 17, §§ 1-2;  cfr. 996  §§ 1-2.

[23] Ibid., Normae, n. 3; cfr. can. 994 CIC.

[24] Cfr. Ibid., Normae, n. 7, 1°.

[25] Ibid., Normae, n. 7, 2°.

[26] Cfr. Ibid., Normae, n. 5, §§ 1-2., cfr. can. 995 CIC §§ 1-2.

[27] Manuale delle Indulgenze, n. 23.

[28] 1 GV 4,19.

[29] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus  Caritas Est, 1.

[30]Cfr. Bolla Incarnationis mysterium, 9.

[31] Cfr. Ibidem, 9 e 11.

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